Locke & Key: un successo teen Netflix dal fumetto horror di Joe Hill

Tratta dall’omonima serie a fumetti scritta da Joe Hill e illustrata da Gabriel Rodriguez, Locke & Key è una delle ultime serie originali Netflix di successo. Fin dal gioco di parole sulla pronuncia del titolo, che invece di essere Lock and Key, ovvero serratura e chiave, diventa Locke, che è il nome della famiglia protagonista, la serie gioca su aspettative che però, puntualmente, fatica a mantenere.

Innanzitutto, gli stessi giochi di parole, che vengono annunciati come preponderanti nel primo episodio, finiscono in realtà nel titolo. Inoltre, molto più importante, a essere presto deluse sono sicuramente le aspettative per chi ha letto il fumetto.

Joe Hill è infatti lo pseudonimo dell’autore Joe King, figlio di Tabitha e Stephen King. Come figlio di Stephen King non ci si deve stupire che anche le sue narrazioni calchino il pedale sul genere horror, e le illustrazioni di Gabriel Rodriguez trasmettono un’atmosfera cruda e oscura. Tutto il contrario della serie, che annulla la violenza per ottenere un prodotto fantasy adolescenziale, con a malapena qualche imprecazione e che utilizza pretesti per non mostrare quasi mai il sangue (per esempio, l’uso della Chiave di Fuoco).

Locke & Key

L’articolazione della trama del fumetto però viene rispettata, in larga parte, anche nella serie, che mantiene sempre vivi il mistero e la curiosità di andare avanti. La trama di partenza infatti è intrigante.

I Locke sono una giovane famiglia sconvolta da un lutto: il padre è stato assassinato davanti alla moglie Nina (Darby Stanchfield) e ai figli, i due adolescenti Tyler (Connor Jessup) e Kinsey (Emilia Jones), e il più piccolo Bode (Jackson Robert Scott). Dopo il tragico evento, Nina decide di cambiare vita e di trasferire la famiglia nella maestosa villa centenaria dei Locke, in cui, rapidamente, i tre ragazzini scoprono dei segreti. In particolare Bode, il più giovane e curioso, scova delle chiavi che hanno dei poteri magici. C’è però anche una presenza, che ha dimora nel pozzo di casa Locke, che vuole sfruttare le chiavi e i loro poteri a suo vantaggio.

Locke & Key

La confezione della serie è sicuramente curata: la fotografia, le scenografie, il design cromatico, le musiche sono tutti elementi che stimolano la visione. Peccato per la sceneggiatura, che mostra tanti buchi e sviluppa protagonisti poco svegli. Per quanto, in realtà, avere dei personaggi poco specchiati da un punto di vista morale, crei qualche riflessione interessante. Infatti, gli eroi non sono mai del tutto buoni. E questo è sicuramente tematico: la chiave è sempre stata associata ad aprire qualcosa. E in questo caso, apre molti scheletri nell’armadio. È quindi significativo che scopriamo la verità dei fatti sempre posposta al fatto stesso. Ogni personaggio, dal più innocente e passivo a quello più propositivo, nasconde qualcosa. Non solo, ma in alcuni casi il giudizio sul personaggio cambia più di una volta, limitatamente alle informazioni che, pezzettino per pezzettino, ci vengono date. Come una chiave che sblocca pian piano i livelli narrativi. Inoltre, ogni chiave crea possibilità di commentario psicologico. Ci sono delle chiavi che tirano fuori il lato più sadico delle persone, per esempio quella del Carillon, o altre che letteralmente ti fanno perdere nel tuo Io (quella dello Specchio). Come a dire che ogni chiave sblocca una parte del nostro cervello, che immancabilmente era già preesistente, ma che noi reprimiamo. I poteri magici della serie quindi non sono poteri soprannaturali che ci trasformano in qualcos’altro, ma meccanismi che sbloccano le nostre potenzialità, in negativo e in positivo.

Locke & Key

Sotto questo aspetto infatti la sceneggiatura funziona, peccato però che ceda su altre scelte meno efficaci. Prima di tutto, appunto, l’intelligenza dei Locke, che fanno delle scelte se non altro discutibili per la metà del tempo. Pigrizia di sceneggiatura, forse, che non riesce, o non vuole, sfruttare tutti gli elementi che ha messo in campo.

Per fare un paragone con altre due recenti serie televisive tratte da fumetti, Locke & Key si configura come molto più simile al risultato che ha avuto Umbrella Academy, in cui i dialoghi e le azioni sono di una piattezza disarmante, piuttosto che quello che avrebbe potuto essere un gioiellino di storyline intrecciate e dialoghi brillanti come lo è stato Happy. La trasposizione di Locke & Key sceglie molte vie facili, quindi non complica mai troppo la narrativa. Questo crea sicuramente il vantaggio di tenere in ballo meno fili e quindi gestirli meglio. Dall’altra parte però sembra inciamparsi nei piedi da solo: infatti, non introdurre tutte le Chiavi che ci sono nel fumetto originale può essere una scelta giusta per snellire la complessità della narrazione, ma il problema è che non sfrutta al meglio quelle che in effetti introduce. Lo spettatore si trova più di una volta a essere un passo in avanti rispetto ai Locke, e permane la frustrazione nell’assistere a un uso così poco stringente degli elementi introdotti.

Locke & Key

Appare evidente che Netflix abbia voluto giocare facile, mantenendo una trama avvincente ma togliendo tutti quegli elementi che potevano provocare disagi, per esempio scene di stupro o di violenza. La trama in effetti cattura e i personaggi, nel loro essere difettosi, giocano come antieroi di loro stessi. Peccato però per la mancanza di cura dei dettagli e anche per la recitazione, convenzionale e spenta, come in qualsiasi altro teen-drama.

Marianna Cortese

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