Lontano da qui, la recensione

Considero la poesia una fonte d’innocenza colma di risorse rivoluzionarie. La mia missione consiste nel dirigere queste forze contro un mondo che la mia coscienza rifiuta di accettare, esattamente in modo da rendere quel mondo, attraverso continue metamorfosi, più in armonia con i miei sogni”.

Così diceva il poeta greco Odysseas Elytīs, citazione che calza a pennello alla storia di Lisa Spinelli, la maestra d’asilo protagonista del film The Kindergarten Teacher, in italiano Lontano da qui

La quarantenne Lisa (Maggie Gyllenhaal) di Staten Island, ha due figli, un marito, è una bravissima maestra e la sera va a lezione di poesia. Purtroppo non ha un gran talento, nonostante la poesia sia la sua grande passione. Un giorno Lisa rimane incantata, o meglio, letteralmente folgorata, dal talento innato di un suo piccolo allievo di 5 anni, Jimmi (Parker Sevak), capace di comporre, con incredibile disinvoltura, le poesie che lei ha sempre sognato di scrivere. Senza chiedere il permesso a nessuno, la maestra si appunta le esternazioni poetiche di Jimmy su un foglio e, in qualche modo, se ne impossessa. Lisa decide così di coltivare il talento di quel bambino, trascurato dalla famiglia, prendendolo sotto la sua ala, per proteggerlo dall’indifferenza della società. Per far ciò però si spinge oltre i limiti della professionalità, trasformandosi da mentore a lucida manipolatrice.

Lontano da qui (premio miglior regia al Sundance Flm Festival 2018) è un thriller psicologico intrigante e finissimo che ritrae un’ossessione intima rovinosa: è la storia di una donna che di fronte alla crisi, di talento e di mezz’età, cerca disperatamente la passione per la vita per abbracciarla in modo totalizzante, compiendo dei falsi passi.

Costruito dalla scrittrice e regista italoamericana Sara Colangelo, partendo dall’adattamento del film del 2014, Haganenet dell’israeliano Nadav LapidLontano da qui è anche un ritratto poetico, straniante e impietoso del viso e del corpo imperturbabile e costernato di una Maggie Gyllenhall da Oscar. Protagonista dalla fisicità e dalla mimica perfetta per interpretare Lisa. Dinoccolata, fragile, semplice eppure terribilmente equivoca e ambigua.

“Reputo questo film per me entusiasmante: è la storia di una donna, di cui posso approfondire la psicologia, esplorandone i ragionamenti, le buone intenzioni fallite e il desiderio di vivere una vita più significativa. Mi ha permesso – dichiara la regista – di occuparmi di una quarantenne: una rarità sia per Hollywood sia per il cinema indipendente. Inoltre, mi ha dato l’occasione di discutere del ruolo che ha la poesia nella società americana contemporanea. C’è spazio per la bellezza, il senso e l’espressione umana in un mondo come quello di oggi dominato dagli smartphone, dai videogiochi, dalle pistole e delle guerre telecomandate? Si tratta di una questione di vitale importanza, che credo valesse la pena affrontare”.

Per la realizzazione del film, gli sceneggiatori hanno chiamato a rapporto poeti di professione. Ocean Vuong e Kaveh Akbar, due giovani poeti statunitensi di origini vietnamite e iraniane, sono stati coinvolti nella stesura delle sceneggiatura. I due poeti si sono sentiti in difficoltà in questo lavoro “su commissione” poco affine con le loro doti e hanno dovuto lavorare molto sulla struttura delle poesie: “Ho dovuto togliere un sacco di subordinate – dichiara Vuong – e scrivere più periodi indipendenti, messi insieme con la paratassi. Ho dovuto spostare la complessità dalla sintassi alle immagini”.

Lisa, che non è l’erede artistica di Saffo e Alda Merini, incarna il desiderio irrealizzato di essere una poetessa dal talento innato. Dalla sua mediocrità tenta, con tutte le forze, di volare alto per lasciare un mondo diverso ai sui figli e per plasmare una versione migliore di se stessa. In modo da rendere quel mondo, attraverso continue metamorfosi, più in armonia con i suoi sogni. Parla della ricerca della bellezza in luoghi insoliti. La sua è un’analisi seria e contorta allo stesso tempo, che solleva domande interessanti: cosa vuol dire essere autori? Chi decide cosa sia arte? Chi può elogiare chi? Tra i pregi del film c’è l’assenza di spiegazione per il talento del piccolo Jimmy che è baciato dal genio in modo imperscrutabile e misterioso. Sembra quasi folgorato da una scintilla divina. L’alunno incarna il senso stesso della parola poesia (dal greco ποίησις, poiesis, con il significato di “creazione”): forma d’arte che crea. Anche il modo in cui “crea” è poesia. Cammina avanti e indietro, come colto da uno stato di trance mistica, e viene letteralmente posseduto dai versi che diventano opera d’arte unica e irripetibile. Il suo declamare composizioni poetiche è una performance innocente colma di risorse rivoluzionarie.

Lontano da qui è un film poetico sulla poesia (già solo per questo motivo merita di essere visto), che muove i passi sulle sabbie mobili: tra allegoria e paranoia sprofonda nell’ambiguità mostrando comportamenti eticamente censurabili ma anche disarmante ragionevolezza, di chi si ostina a preservare la bellezza in un mondo di indifferenza ed omologazione. È una storia di speranza e disperazione, un progetto personale di assoluta purezza che nasce dalla disillusione dell’età adulta, dalla rassegnazione, dai sogni infranti. Forse siano noi che, peccando di malizia, vediamo del torbido, dove il torbido non c’è.

In uscita nelle sale italiane il 13 dicembre, distribuito da Officine UBU.

Ilaria Berlingeri

PRO CONTRO
  • Un film poetico che parla di poesia.
  • Maggie Gyllenhaal è da Oscar.
  • Il bambino, Parker Sevak, ha davvero un talento innato.
  • Alcune scene risultano troppo ambigue e ingiustificate ai fini della storia.
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