Lucy, la recensione

C’era una volta Luc Besson, il filmmaker francese che sognava il cinema americano e, di fatto, cambiò il modo di fare cinema in Francia. Lui era un anticonformista per il panorama artistico del suo Paese, uno che, guardando alla Nouvelle Vague, faceva spallucce e filava dritto per la sua idea di settima arte, fatta di ritmi forsennati, violenza e azione. Un giovane talentuoso che, non inventando nulla di nuovo, ha inventato il nuovo cinema francese!

Subway, Le grand bleu, Nikita, Lèon e poi l’interesse del cinema hollywoodiano con Il quinto elemento, Giovanna d’Arco ecc. Ma Besson, negli anni, un po’ si è perso perché, se da una parte ha acquistato una grande celebrità e successo con i film prodotti dalla sua EuropaCorp (che spesso ha anche scritto, pensando a una versione meno raffinata dei suoi primi lavori action), dall’altra ha cominciato a firmare un flop dietro l’altro. Dimostrazione di come la contaminazione hollywoodiana abbia fatto male a quel cineasta francese che il cinema americano lo sognava solamente, e nel lavoro metteva tutta la sua vera passione e personalità.

A confermare questa teoria del lassaiz-faire arriva anche il suo ultimo lavoro, Lucy, un action/thriller fantascientifico che ha un concept brillante ma si perde poi in un bicchiere d’acqua.

La storia di Lucy ci racconta di una ragazza, il cui nome dà titolo al film, che si ritrova invischiata in un traffico di una nuova droga ricavata dalla placenta delle gestanti. Lucy viene, infatti, scelta per fare da corriere a un sacchetto di questa potente droga, che le viene inserito chirurgicamente nel basso ventre, così da poterlo trasportare senza essere individuata… Ma sopraggiunge un problema! A causa delle percosse dei suoi carcerieri, il contenuto del sacchetto si rovescia nel corpo della ragazza e il suo organismo assorbe velocemente la sostanza, causando degli incredibili cambiamenti in Lucy. Il suo cervello, infatti, comincia rapidamente a sviluppare le facoltà normalmente celate dal canonico 10% di utilizzo e, in poche ore, la percentuale cerebrale di Lucy cresce fino al traguardo del 100%. Tra forza sovrumana, velocità, facoltà di cambiare aspetto e incredibili capacità mentali, Lucy si ritrova in una corsa contro il tempo per recuperare gli altri sacchetti di droga e nutrire il suo organismo in crisi di rigetto, oltre che scappare dai sicari che vogliono eliminarla.

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Capirete, leggendo la trama, che Lucy è un film dall’idea vincente, uno di quei soggetti che, se trattato a dovere, potrebbe dar vita a un blockbuster di genere in grado di lasciare davvero il segno. Il buon Besson, però, sembra non aver avuto la capacità di portare coerentemente fino alla fine l’idea che sta alla base del suo film e, a una prima parte che ricorda tantissimo il suo cinema delle origini (solo un po’ più addomesticato dall’ottica hollywoodiana), segue una seconda che mostra la totale perdita di controllo del tutto. L’idea di Besson è chiaramente di creare una nuova icona femminile “con le palle”, una action-girl che segua l’orma della leggendaria Nikita, dell’aliena Leeloo de Il quinto elemento e di Adèle Blanc-Sec di Adèle e l’enigma del Faraone. E il tentativo va in porto, anche se Scarlett Johansson, con la sua Lucy, non raggiunge neanche lontanamente il carisma della killer interpretata da Anne Parillaud né dell’aliena dai capelli arancioni che diede la celebrità a Milla Jovovich. Lucy è goffa, assolutamente incapace di gestire la situazione che le si para dinnanzi e, infatti, il modo in cui viene casualmente introdotta alla missione dal suo viscido amante ne è la giusta presentazione. Da qui, per la logica dell’ossimoro, Lucy diventa il contrario della burrosa e imbranata ragazzotta che conosciamo all’inizio e si trasforma in una macchina da guerra. Pensate a un personaggio degli X-Men… anzi, pensate a Jean Grey quando si trasforma in Fenice, ma con la possibilità di avere il controllo su se stessa. Questo è ciò che diventa Lucy e Besson, da questo momento in poi, finisce palesemente per perdere il controllo del film.

Se Lucy comincia come una derivazione del bel Limitless con Bradley Cooper per trasformarsi, poi, in una sorta di Nikita, ad un certo punto la deriva fantascientifica prende il sopravvento e, nel calderone delle (involontarie) citazioni, finisce il recente Transcendence. Lucy si fa assurdo, e quell’assurdità non gioca a suo favore, perché è un chiarissimo segnale che il buon Besson ha perso le redini del suo progetto.

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Avete presente quando state inventando una storia, questa si fa troppo complicata e non sapete più come chiuderla? Deve essere capitato anche a Luc Besson in sede di scrittura e Lucy ne paga in coerenza e fascino.

Va, però, spezzata una gigantesca lancia in favore di questo film, ed è per il magnifico inseguimento in automobile che il regista ha messo in scena nella parte che precede la climax finale, diretto magnificamente e con un senso del coinvolgimento visivo ed emotivo che forse non si era mai visto.

Besson è bravo, nessuno lo mette in dubbio, e, quando gli metti in mano l’azione, sa come portarla a un livello di professionalità e spettacolarità molto alto. Ma Lucy non è riuscito, ed è un peccato, perché tra le mani di quel ragazzotto francese che negli anni ‘80 sognava Hollywood stavolta c’era una bomba, che però è rimasta inesplosa.

 Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Ottima idea di partenza.
  • Belle scene d’azione e, in particolare, un magnifico inseguimento in auto tra le strade di Parigi.
  • Un film che non sa dove andare a parare e lo si capisce dalla piega “assurdamente” fantascientifica che prende.
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Valutazione: 6.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Lucy, la recensione, 6.0 out of 10 based on 1 rating

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