Mal di pietre, la recensione

Quando ho letto ‘Mal di pietre’ mi sono resa conto che in quel libro c’era qualcosa che cercavo, senza saperlo: il personaggio di una donna che cerca qualcosa che tutti le rifiutano. Ho ambientato il film nella stessa epoca ma in Francia, ma credo di non aver tradito lo spirito del romanzo”.

Così Nicole Garcia parla della sua trasposizione cinematografia di Mal di Pietre, romanzo di Milena Agus che, quando è uscito nel 2006, pochi hanno notato in Italia, ma che in Francia è diventato un caso letterario.

Mal di Pietre, ovvero: prendi un breve, asciutto e schietto racconto ambientato nella Sardegna degli anni’50, trasloca il tutto nella Francia contadina del Sud, correndo il rischio di perdere il clima stesso che rende il racconto originale ed unico. Priva il racconto del contesto necessario all’evoluzione del personaggio protagonista, Gabrielle, e dalle il volto del premio Oscar Marion Cotillard. L’esperimento riesce? Non in pieno.

Gabrielle viene da un paesino. È una donna inquieta, rapita da grandi passioni, anche erotiche, ed incline ad un comportamento reputato scandaloso. Gabrielle è un po’ matta. Ha un lato animale e una pazzia creativa. In un’epoca in cui le ragazze sono destinate al matrimonio, lei è diversa. I genitori la obbligano a sposare Josè (Alex Brendemühl), onesto contadino e muratore spagnolo, che non le fa mancare nulla… tranne la cosa principale che lei cerca disperatamente: l’amore. Sarà un matrimonio con una chiara dichiarazione di non amore. Nel frattempo Gabrielle soffre di un male che la opprime e le rende la vita ancor più difficile: il mal di pietre, ossia i calcoli renali. Per tentare una cura, medici e marito la spediscono in un grande centro di terapia termale, sulle Alpi, dove incontra Andrè (interpretato da un imbambolato Louis Garrel): affascinante (?) reduce rimasto ferito durante la guerra d’Indocina. Sarà lui a darle l’amore e risvegliare in lei la passione sopita?

Il film indaga dignitosamente (di questo bisogna dargli atto) sul tema della sessualità repressa e sulla mancanza di soddisfazione erotica. Si sofferma sui meccanismi della follia della mente umana, capace di creare fantasmi per colmare mancanze. Racconta anche di quanto l’incomunicabilità sappia plasmare spettri enormi.

La malattia mentale è vista come il male misterioso che fa fuggire l’amore, mentre l’immaginazione diviene un potentissimo rimedio al dolore. Una terapia. È chiaro che le pietre che Gabrielle porta con sè sono ben altre che quelle riconducibili alla calcolosi renale. Sono il peso dell’assenza di qualcosa enormemente desiderato. Lei vive l’inizio di un amore e quando questo si dissolve immagina, per non morire, per non sprofondare.

Questo il cardine della storia. Il destino di Gabrielle rappresenta metaforicamente l’immaginazione, la forza creativa di cui dobbiamo essere capaci tutti per spingerci oltre i nostri stessi limiti. Grazie a quella cosa che “gli altri” definiscono pazzia, Gabrielle non rinuncerà mai ai suoi sogni.

Il marito, Josè, è un bel personaggio, sembra uscito dall’Orlando Furioso. Come un moderno Astolfo va a riprenderle il senno sulla Luna per farla rinsavire e la insegue…. Lui è un paladino… un eroe cavalleresco… Mentre lei non l’ha mai guardato davvero e cerca altrove, disperatamente.

Tirando le somme, i presupposti c’erano tutti ma il risultato è a tratti noioso, prevedibile e tiepido, nonostante la grande prova attoriale della Cotillard. Manca il calore necessario, il pathos e lo spettatore è assalito da un senso di fastidio misto a irritazione senza riuscire a trovare compassione per nessuno degli infelici personaggi.

Ilaria Berlingeri

PRO CONTRO
  • Panorami e campi lunghi.
  • L’interpretazione della Cotillard.
  • La mancanza di Pathos.
  • Gabrielle ricorda una Madame Bovary…meno aristocratica e afflitta da calcolosi renale!
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