Manifesto, la recensione

Il Manifesto è un documento programmatico di un movimento o di una corrente politica, artistica o religiosa, che ne espone regole e princìpi e le sottopone al giudizio pubblico. Nozione importante, da tenere a mente, per un’attenta e produttiva fruizione dell’opera Manifesto di Julian Rosefeldt, presentata in origine come un’istallazione filmica di tredici canali, nel 2015.

Entriamo in sala e subito siamo immersi nel Manifesto del Partito Comunista raccontato da un senza tetto, nei motti dadaisti recitati da una vedova ad un funerale, nel Dogma 95 descritto da una maestra ai suoi alunni, e così via. Per gli atei Dogma 95 è il movimento cinematografico creato dai registi danesi Lars von Trier e Thomas Vinterberg, fondato su un decalogo di precise regole espresse, appunto, in un manifesto programmatico, pubblicato nel 1995. Tredici personaggi diversi: ogni personaggio uno scenario, ogni scenario un movimento artistico celebrato attraverso intensi monologhi (cinquantaquattro per la precisione). Così si susseguono i cortometraggi di Rosefeldt, tra l’ironia di una maestra elementare che insegna ai suoi allievi che “nulla è originale”, e la crudissima realtà di un’operaia lobotomizzata; in una rete abilmente tessuta di brani tratti dai Manifesti che hanno segnato la cultura del XX secolo, e le dichiarazioni più recenti di artisti, architetti, ballerini e cineasti quali Sol LeWitt, Yvonne Rainer, Lars von Trier o Jim Jarmush. Si tratta di discorsi, divagazioni, la preghiera di una madre di famiglia conservatrice, o semplici monologhi interiori, interpretati dalla camaleontica Cate Blanchett. L’artista e regista tedesco, Julian Rosefeldt, riprende e ricontestualizza le parole immortali di artisti e pensatori e, attraverso quelle parole, rilegge il mondo contemporaneo. Racconta ciò che è cambiato e ciò che non cambierà mai.

Manifesto, che ha conquistato anche il Sundance, è una sfida a cui si sottopone il premio Oscar Cate Blanchett che, in soli undici giorni di riprese a Berlino, è riuscita a sprigionare tutta la sua dirompente forza espressiva. Se ancora fosse stata necessaria una prova che la Blanchett è una delle più grandi attrici e artiste del nostro tempo, ecco che la vediamo riempire prepotentemente la scena. Ed ecco che il film ci pone difronte al primo interrogativo: quanto è limitante il fatto che l’Academy possa assegnare solo un Oscar alla volta alla Blanchett e che, quindi, viviamo in un Mondo dove non la vedremo mai abbracciare tredici Oscar, contemporaneamente, declamando il nuovo Manifesto della notte degli Oscar? L’attrice interpreta figure radicalmente opposte tra loro giocando sia con la propria “persona” pubblica che con la sua carriera. In alcuni di questi personaggi ritroviamo echi di vecchi film: Io non sono qui, Diario di un vizio o il recente Carol. Dal canto suo Rosefeldt condisce l’installazione anche di alcuni riferimenti squisitamente cinematografici, omaggiati spesso con ironia. Ecco allora che dentro Manifesto i più accorti scorgeranno citazioni da Viale del tramonto, 2001: Odissea nello spazio o Alien.

Manifesto ripropone la storia di svariati movimenti artistici cercando di carpirne l’essenza e testimoniando la loro finitezza, soprattutto attraverso il concetto comune a tutti i segmenti: oggi l’arte è finzione e l’originalità si è estinta. L’idea alla base del lavoro entusiasmante di Rosefeldt viene riproposta in storie autoconclusive ma che si intrecciano in un filo conduttore preciso, quasi doloroso, nel testimoniare la stasi prima di tutto dell’arte stessa, e attraverso essa metaforicamente anche della nostra società. Il Manifesto di Julian Rosefeldt in mostra al Palais des Beaux Arts di Parigi recita: “Io sono per un’arte politico-erotico-mistica, che fa qualcosa invece che rimanere seduta sul proprio culo in un museo”. Molti dei cortometraggi posseggono una fortissima tensione drammatica oltre che un simbolismo capace di fondersi con omogeneità allo stile visivo raffinato dell’artista tedesco. Alla forza della messa in scena contribuiscono anche la notevole fotografia di Christoph Krausse le scenografie/set di Erwin Prib.

La scrittura stessa dei Manifesti enunciati è bella e ipnotica, tanto da risultare non semplici documenti storico-artistici, ma materiale altamente vivo e performativo, che ricorda il teatro. Julian ha immaginato questi Manifesti come delle vere e proprie rappresentazioni. Li ha liberati dalla polvere della storia e li ha posti nell’era contemporanea. È più importante chi scrive un Manifesto o il Manifesto stesso?

Gli artisti, così come gli scrittori, i filosofi e gli scienziati sono sempre stati coloro che osavano nel formulare pensieri e visioni il cui fondamento doveva ancora essere provato. Alcuni vengono letti oggi e, anche se scritti nel 1932, sembrano scritti ieri. In un epoca in cui le tendenze neo-nazionaliste, razziste e populiste si trovano a minacciare nuovamente le democrazie di tutto il mondo, quest’opera d’arte diventa un vero e proprio appello all’azione.

Risulta chiaro che l’intento principale del progetto non era quello di illustrare i testi dei manifesti, quanto piuttosto di permettere a Cate di impersonarli. Cate è i Manifesti. A loro volta, i Manifesti posseggono Cate. Il Manifesto si tramuta in spirito in grado di possedere chi lo legge e chi lo declama. Le parole sono entità vive e vegete in grado di possedere l’uomo, come un ventriloquo fa con le sue marionette. Scavando sul concetto di verità, il film si interroga, in una lettura profonda, su quanto l’uomo, a volte, sia superfluo, rispetto alle parole.

Il fascino della trasformazione scenica si combina ad una meticolosa scenografia, per riportare alla luce ciò che bruciava nell’animo dei grandi intellettuali del passato: “Questi autori hanno questo bisogno irreprensibile di dire qualcosa al mondo – spiega Rosefeldt in un’intervista del 2015 – Attraverso il mondo dell’arte, è il mondo intero che vogliono cambiare! Leggere questi testi mi da gioia, e la voglia di andare più lontano in quanto artista, di contribuire alla società”.

Manifesto non è solo l’ennesimo ritratto di una società capitalista in decomposizione, ma un rinnovato richiamo alla lotta, una lotta da combattere con le armi più potenti, quelle della cultura.

Manifesto, come Dogma 95, si pone lo scopo dichiarato di contrastare “una certa tendenza” del cinema attuale.
Manifesto, come Dogma 95, è un’azione di salvataggio!

Questa straordinaria esperienza di video-arte sarà proiettata nella versione ridotta a 90 minuti rispetto ai 130 complessivi della video-installazione esposta nei musei di arte moderna e contemporanea a Melbourne, Berlino e New York. Nelle nostre sale potremo vederlo, dal 23 al 25 ottobre, grazie ad un progetto molto interessante: I WONDER STORIES. Le I WONDER STORIES sono appuntamenti mensili per poter vedere sul grande schermo docu-film di particolare interesse culturale. Una serie di uscite a evento di due o tre giorni (lunedì, martedì e mercoledì) costruite su misura con un approccio totalmente innovativo, in cui la pellicola del mese è impreziosita e accompagnata da contenuti speciali.

Ilaria Berlingeri

PRO CONTRO
  • Cate Banchett.
  • L’idea profonda ed innovativa dell’opera in se.
  • La possibilità di fruire di un’opera di video-arte al cinema.
  • Non è un film per tutti i palati (o forse anche questo è un Pro?!?!).
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