Men, la recensione

La carriera di Alex Garland sta assumendo dei risvolti davvero interessanti. Nato professionalmente come scrittore, pubblica nel 1996 The Beach – L’ultima spiaggia, da cui subito dopo Danny Boyle trae l’omonimo film con Leonardo DiCaprio. Da qui si instaura una collaborazione tra Garland e Boyle che porterà il primo a sceneggiare per il secondo 28 giorni dopo (2001) e Sunshine (2007). Garland si specializza come sceneggiatore di drammi distopici fantascientifici come Non lasciarmi (2010) ma anche di riusciti cinecomic come Dredd – Il giudice dell’apocalisse (2012), fino all’esordio alla regia con il bellissimo Ex Machina (2015), un percorso autoriale che prosegue con Annientamento (2018) e la miniserie per Hulu Devs (da noi ancora inedita). E qui abbiamo un’importante svolta che coincide con la collaborazione tra Garland e la gettonatissima realtà produttiva A24, che gli finanzia Men, un horror psicologico dai risvolti splatter.

Harper sta cercando di riprendersi da un terrificante evento che l’ha traumatizzata: suo marito James è morto, forse suicida, dopo un furioso litigio scaturito dalla decisione della donna di divorziare. Per questo motivo Harper vuole prendersi una pausa, in solitudine, e affitta una villa immersa nel nulla nel villaggio di Cotson. Durante una passeggiata nella natura, la donna si imbatte in un inquietante uomo nudo che inizia a seguirla fino a sostare nel suo giardino. Harper chiama le autorità, che intervengono immediatamente, ma da quel momento iniziano ad accadere inquietanti eventi e per la donna realtà e incubo sembrano fondersi senza nessuna possibilità di distinzione.

In Men il marchio della A24 è immediatamente riconoscibile, nella tradizione dell’horror d’autore che ha reso la società di produzione newyorkese leader nel settore del cinema indipendente di genere. Alex Garland, anche sceneggiatore, conduce la storia di Harper viaggiando costantemente sul filo dell’allegoria per raccontare il senso di colpa ma anche una società fortemente ancorata sul concetto di patriarcato. Attenzione, però, con Men non siamo dinnanzi a uno di quei tediosi e infantili pistolotti morali che puntano il dito sulla distinzione di genere per raccontare la disuguaglianza sociale odierna. Garland rimane volutamente ambiguo e conduce il suo inquietante discorso con sottigliezza mostrando tutta la vicenda dal punto di vista di Harper, comprese le sue convinzioni, le sue idiosincrasie probabilmente viziate da un processo di autoconvincimento atto a curare il senso di colpa.

Il modo come viene gestito e si sviluppa il personaggio di Harper, magistralmente interpretato dalla candidata agli Oscar Jessie Buckley, è un esempio di grande scrittura: ci troviamo davanti a un personaggio molto sfumato che vive costantemente di grigi; lo spettatore non può fare altro che immedesimarsi in lei, nei suoi tormenti, nelle sue ragioni, ma la stessa mente di Harper produce dei mostri che mettono in dubbio ogni convinzione pregressa. E se James è morto per colpa sua? E se lei invece di sbatterlo fuori casa, dopo la sua minaccia di suicidio, avesse provato a calmarlo? Si tratta di domande che lo spettatore inizialmente liquida appoggiando la buona fede della donna ma che, a mano a mano che il film procede, comincia a porsi realmente avvallato proprio dai dubbi di Harper e dall’ossessivo presentarsi del flashback che aggiunge sempre qualche piccolo elemento in più.

Se il film è completamente focalizzato sul personaggio interpretato dalla Buckley e sulla sua ossessione, non meno interessante è il comparto maschile ricchissimo ma impersonato interamente da un fenomenale Rory Kinnear che da volto al padrone di casa Geoffrey e, letteralmente, a tutti gli altri personaggi maschili che popolano il villaggio. Ovviamente lo stesso sdoppiamento maschile è parte dell’ossessione di Harper, ma l’effetto straniante che si viene a generare è davvero suggestivo e inquietante, soprattutto con l’incedere della progressione narrativa, sempre più bizzarra e folle.

Infatti, Men, oltre a portare avanti un’analisi molto interessante del personaggio e dell’identità sessuale attraverso una serie di simbolismi (religiosi e laici), riesce a dar vita a momenti davvero spaventosi e di grande suggestione, come il primo incontro di Harper con la sua nemesi nel tunnel. Un orrore che sfocia in una situazione da home invasion che, nell’ultimo atto, si trasforma in un vero e proprio body horror ultra-splatter che farà felici i fan di Society di Brian Yuzna.

Non privo di ambizioni da horror-arthouse, comunque ben equilibrate per il valore complessivo dell’opera, Men si contraddistingue nell’attuale panorama orrorifico cinematografico perché sa osare, sia da un punto di vista puramente concettuale sia visivo. Il film di Garland è molto focalizzato sull’immagine, sui colori, sull’audacia di una visceralità estrema che risulterà sicuramente disturbante per molti; ma è anche un film di contenuto, che si presta a differenti letture stimolando lo spettatore nel farsi domande.

Insomma, se cercate una visione disimpegnata e votata allo spavento facile, cercate altrove, se invece avete voglia di uno spettacolo disturbante che indurrà alla riflessione, Men è l’incubo che fa al caso vostro!

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Si presta a numerose chiavi di lettura così che l’esperienza non termina con la fine del film.
  • Jessie Buckley bravissima.
  • Una progressione da body horror davvero notevole.
  • Se cercate un horror convenzionale rimarrete molto delusi.
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Valutazione: 7.5/10 (su un totale di 2 voti)
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Valutazione: +1 (da 1 voto)
Men, la recensione, 7.5 out of 10 based on 2 ratings

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