Metro Manila, la recensione
Ecco una storia vecchia come il mondo: una famiglia in cerca di una vita migliore lascia la campagna per trasferirsi in città. Qui perderà l’innocenza e le speranze iniziali a causa delle vessazioni subite.
A grandi linee tale scenario viene riproposto anche in Metro Manila, dove Oscar (Jake Macapagal) e la sua famiglia lottano per la sopravvivenza in una metropoli filippina. Tutto sembra andare finalmente per il meglio quando Oscar viene assunto come guardia portavalori; peccato che quest’occasione d’oro si rivelerà essere una fonte di guai.
Il regista Sean Ellis costruisce una storia di matrice neorealista dotata allo stesso tempo di un’efficace deriva crime, due tendenze equamente ripartite all’interno del film. Di fatto la prima ora si concentra sullo straziante vagabondaggio di Oscar e la moglie Mai, in cerca di un rifugio qualsiasi che ospiti loro e le due figlie; ciò che rimane più impresso in questa parte sono i ricorrenti primi piani dei protagonisti, che Ellis usa come supporti per costruire la sua personale narrazione della sofferenza.
Il regista, inoltre, insiste nel dirci che non si può uscire tanto facilmente da un percorso predestinato: infatti le speranze di Mai e Oscar sono continuamente soffocate, oltre che dai personaggi di dubbia moralità che incontrano, anche dallo smog presente nella loro città, il quale copre tutto di una grana cinerea riproposta nella stessa fotografia di Metro Manila.
Bisogna però ammettere che il ciclico riproporsi di dolori e crudeltà si avvicina, verso metà film, al pericolo di sembrare un didascalico esercizio di stile, un loop avulso da una trama; per fortuna Ellis glissa il rischio grazie a una seconda ora incentrata maggiormente sull’azione e coronata da un finale che rasenta la perfezione.
Giulia Sinceri
| PRO | CONTRO |
| Buon film coronato da un finale praticamente perfetto. | La parte centrale del film soffre di una stanchezza di fondo, dovuta al ripetersi di tematiche già affrontate. |
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