Mon Roi – Il mio Re, la recensione

La permanenza in un centro di riabilitazione, nella misura in cui comporta una brusca messa fra parentesi dei ritmi, delle logiche e delle incombenze della vita quotidiana, può indurre una certa attitudine riflessiva nel soggetto costretto all’immobilità, strappato momentaneamente alla propria vita, confinato nel limbo di uno spazio e di un tempo strutturati al millesimo (e al centimetro). Questo è precisamente ciò che accade alla protagonista del nostro film. Si chiama Tony (Emmanuelle Bercot ), ed è stata ricoverata in seguito ad un brutto incidente sugli sci. La realtà oggettiva del dolore fisico, le necessità quotidiane del percorso di riabilitazione, la portano istintivamente a stabilire una simmetria tra la sofferenza dei suoi legamenti malandati, e le ferite impalpabili del suo cuore. Tra l’esigenza di riparare un corpo ferito e la possibilità di esorcizzare, rielaborandoli, i guasti dell’anima.

Mon Roi – Il Mio Re, attraverso una lunga serie di flashback che si snodano con implacabile metodicità lungo tutto il corso del film, un estenuante ping pong fra passato e presente senza particolari scarti di ritmo o idee di regia vagamente originali, e per questo condannato, dopo un inizio promettente, ad una stanca meccanicità , vuole fare l’autopsia alla storia d’amore fra Tony e Georgio (Vincent Cassel), indugiando con piena intenzione su quei momenti che sembrano definirla nella sua verità più scoperta, una verità fatta di trasporto, passione, follia, soffocamento, negazione di sé. Tony e Georgio legano in maniera incongruente, non fosse altro a partire dai loro nomi. I campanelli d’allarme ci sarebbero pure per Tony, considerando lo stile di vita di Georgio, la sua predilezione per ragazze più giovani.

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Vincent Cassel restituisce con vigore e credibilità la sensualità, i sotterfugi, il fascino magnetico, la sensibilità, i guasti del suo protagonista, forte di una presenza scenica, di una fisicità nervosa, potente e inconfondibile. Brava Emmanuelle Bercot nel dare espressione al doppio dolore di Tony, per cui porta a casa il premio per la migliore intepretazione femminile a Cannes 2015.

Detto questo, Mon Roi – Il Mio Re manca il bersaglio, in maniera piuttosto clamorosa. Il film segna il ritorno dietro la macchina da presa, a distanza di quattro anni dal fortunato Polisse, Premio della giuria a Cannes 2011, della regista e attrice Maïwenn Besco. Il risultato finale ci parla di un racconto monocorde e vagamente isterico, palesemente urlato, che cerca di esplorare la realtà di un amore nei suoi frangenti più vischiosi e travolgenti, senza mai discostarsi da una rappresentazione emozionale superficiale e stereotipata, e soprattutto, a senso unico. Tony pensa a Georgio e si rende conto di non aver mai potuto e voluto separarsi del tutto dall’uomo che definisce la sua esistenza, nondimeno rendendola un inferno. È la ragione della sua vita, il padre di suo figlio, l’ostacolo più grande alla sua serenità. Questa, in soldoni, l’esposizione nuda e cruda dell’idea centrale del film. Un’accurata riflessione sulle implicazioni di questo ragionamento, il lavoro sulle sfumature per intenderci, latita.

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Maïwenn accompagna il frenetico farsi, disfarsi e magari chissà dell’amore fra Tony e Georgio con uno stile di regia che sottolinea il nervosismo dei nostri protagonisti, senza sovrastarli con artifici stilistici del tutto inutili e ridondanti, non riuscendo però a fugare l’impressione che oltre la rumorosa messa in scena delle risate, delle lacrime, della rabbia, dei silenzi di questo amore si nasconda un’ignoranza di fondo circa i motivi, i significati e le forze che strutturano alla base il sentimento che unisce quest’uomo e questa donna. Chi sono davvero Tony e Georgio?

Francesco Costantini

PRO CONTRO
La bella fotografia di Claire Mathon.

 

L’intensità notevole di questo film, protratta per due ore buone, può stancare lo spettatore.
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Valutazione: 5.0/10 (su un totale di 1 voto)
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