Montparnasse – Femminile singolare, la recensione

Montparnasse – Singolare femminile (Montparnasse Bienvenüe, in originale) di Léonor Sérraille, in concorso a Cannes 2017, dove ha vinto il premio per Migliore Opera Prima, è un film davvero interessante e i motivi sono vari. Primo tra tutti è quell’operazione di valorizzazione nei confronti della capitale francese, Parigi, che viene esplorata secondo molte delle forme che la rendono la città che tutti dovremmo conoscere. Arte, metro, rollerblade al centro dei boulevard, amore promiscuo, giovani immigrati costituenti la forza lavoro, gatti, tetti e cospicui flussi di denaro.

In una così grande città si è costretti all’annullamento perché tanto si può solo essere sufficienti per sé stessi, ma quando si decide di non opporsi a questa forza, bensì di vivere parallelamente ad essa, allora anche la spazzatura smetterà di confondersi con il sole del tramonto. Dico questo perché Montparnasse – Singolare femminile parla di sporco. Lo sporco è il tramonto di molte scene girate per le strade, tra la gente che si ritrova povera e sola come la protagonista di questo film, l’attrice Laetitia Dosh.

La Dosh interpreta una giovane donna appena lasciata dal proprio decennale compagno, un fotografo tanto bravo e conosciuto quanto avvezzo a farsi gli affari propri e a considerarla una personalità di seconda fascia. Perché? Perché a trent’anni suonati non ha un lavoro e deve ancora completare gli studi. Così inizia il racconto di questa storia, fatta di pochi personaggi principali (tre, fino a quando l’ex non torna alla ribalta) mossi davvero bene da Léonor Sérraille, la quale non ha a caso vinto il premio Camera d’or a Cannes nel 2017, appunto. I protagonisti vengono introdotti a intervalli regolari ma equidistanti, di modo che ognuno possa affermarsi sulla scena e relazionarsi con la protagonista, che non ha un buon rapporto con la madre e, sola con il gatto dell’ex compagno, si ritrova a elemosinare un posto dove dormire e un lavoro nei Grandi Magazzini, presso una multinazionale che commercia intimo di pregevole manifattura, da donna. Il tempo poi passa teneramente veloce per lo spettatore, che non percepisce grandi rallentamenti o corse, nemmeno quando le inquadrature sono a macchina ferma, o al contrario scene di violenza o rincorse costringono la camera a inseguire con ossessione.

Un aspetto che non si fa molto apprezzare, come in gran parte dei film doppiati dal francese all’italiano, è perlopiù legato alla lingua. Spesso le voci vengono percepite come distanti dalla scena, quasi appartenessero a una voce narrante, esterna dai fatti che si stanno svolgendo. Poco riuscita è anche l’esplorazione musicale, legata a un’elettronica ambient mischiata con tratti di musica classica, e portata sulla scena con immagini che fanno rimpiangere Sorrentino. A tal proposito, se si presta attenzione a questi particolari, considerando le scene di festa da fine settimana tanto importanti quanto le altre (cosa che appunto sono), non si può fare a meno di notare quanto nelle produzioni successive a La grande bellezza (2013) ci siano stati molti tentativi di imitarla dal punto di vista delle musiche e della fotografia di diverse scene. Ebbene ribadiamo che, a vedere molti tentativi, anche di bravi registi, ci sentiamo sempre più orgogliosi dell’italianità del nostro regista.

Tornando a Montparnasse dobbiamo sottolineare l’eticità di impostare una produzione, spostandola dalla mera rappresentazione esistenziale, a un esistenzialismo finalizzato alla ricerca sociale. I protagonisti qui presenti sono infatti legati a più estrazioni sociali differenti: ci sono i borghesi, ci sono gli operai, ci sono quelli con movenze e atteggiamenti da nobili, ma che alla fine risultano essere i meno umani di tutti. Perché “se non hai un lavoro è meglio partire per Lione” dicono a Paula. A trentuno anni devi scegliere chi vuoi essere, ed è già tanto che tu lo possa scegliere. “I soldi danno libertà”, gridano a una bambina di otto anni a cui è imposta una dieta ferrea, che assolutamente non contempla l’uso di dolci o restare fuori in Parco fino a ora di cena. Ed è questo la pellicola, una continua lotta tra chi è Paula (donna ancora capace di ridere e di viversi la vita quasi fosse una ragazzina), e la spinta capitalista alla responsabilizzazione (con l’attenersi alle regole del buon vivere, al lavoro come fonte di speranza per una sola vita). Ma alla fine la domanda esplicita si sposterà da “quale lavoro fai” a “cosa sogni di fare davvero.” E questo è tutto il bello contenuto nel poter vivere a Parigi.

Roberto Zagarese

PRO CONTRO
  • Storia.
  • Gestione dei personaggi.
  • Musiche.
  • Doppiaggio.
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Valutazione: 7.0/10 (su un totale di 1 voto)
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