Mood Indigo – La schiuma dei giorni, la recensione

Colin è un ricco idealista parigino che conduce la sua vita senza troppi pensieri per la testa. Ha più di trent’anni ed è ancora convinto che prima o poi incontrerà il grande amore della sua vita. Una mattina scopre che anche il suo migliore amico Chick ha trovato la donna con la quale condividere l’esistenza e ciò lo porta a riflettere sulla sua situazione da single: è finalmente giunta l’ora, anche per lui, di mettersi alla ricerca del grande amore. L’impresa per Colin sarà più semplice del previsto. Ad una festa incontrerà la dolce Chloé e per i due è subito amore. Colin e Chloé si sposano ma la loro felicità è destinata presto a sfiorire. Durante la luna di miele Chloé scopre di essere gravemente malata: una ninfea le sta crescendo nel polmone destro e l’unica speranza di guarigione è vivere a stretto contatto con i fiori. Chloé diventerà sempre più debole, il suo malessere inizierà a ripercuotersi sull’abitazione stessa mentre a Colin non resta altro da fare che sommergere di fiori la sua amata con la speranza di tornare a vederla sorridere.

Il talento senza immaginazione ci ha dato l’artigianato a cui dobbiamo tanti oggetti utili, come il cestino di vimini da picnic. L’immaginazione senza talento ci ha dato l’arte moderna.

Tom Stoppard

Desiderato da molti e deprecato da altri, Mood Indigo – La schiuma dei giorni rappresenta sicuramente una pellicola importante nella filmografia di un autore eccentrico come Michel Gondry. L’importanza non va attribuita  tanto al film in se ma al delicato momento in cui l’autore decide di realizzarlo. Dopo la disastrosa avventura hollywoodiana con The Green Hornet, culminata con un rumoroso flop al botteghino, e la parentesi di The We and the I, piccolissimo film indipendente per lo più poco conosciuto, Gondry necessitava di tornare sulla scena con un film personale ma non eccessivamente indie. L’occasione per tornare a testa alta gli viene offerta da Luc Bossi (co-sceneggiatore e produttore del film) che gli propone di adattare per il grande schermo il noto romanzo L’ècume des jours di Boris Vian pubblicato nel 1947. Il romanzo di Vian, da noi poco conosciuto (tradotto in italiano solamente nel 1965), rappresenta un vero e proprio oggetto di culto in molti Paesi al di là delle Alpi dove è divenuto nel tempo una lettura obbligata nella narrativa scolastica. L’importanza racchiusa nelle pagine dell’opera di Boris Vian ha portato Lècume des jours sul grande schermo già in passato, nel 1968 con l’omonimo film diretto da Charles Belmont e nel 2001 con un adattamento cinematografico giapponese intitolato Chloé per la regia di Go Riju. Michel Gondry, responsabile dunque della terza trasposizione cinematografica del romanzo, trova nelle parole di Boris Vian quella giusta ispirazione necessaria a scatenare tutta la sua visionarietà così che quel mondo surreale ed estroso descritto nelle pagine di Lècume des jours non fatica nel divenire terreno fertile per la creatività visiva che ha sempre contraddistinto il regista.

Dietro La schiuma dei giorni si nasconde apparentemente una semplicissima storia d’amore, a tratti persino banale ed ingenua, che riesce però a contraddistinguersi da tutte le altre grazie  all’universo irreale e fuori qualunque tempo in cui è calata la vicenda e grazie ad una svolta narrativa straziante che catapulta l’idilliaca e colorata storia d’amore di Colin e Chloé in un cupo dramma fatalista ed esistenziale.

Roman Duris e Audrey Tautou in Mood Indigo

Roman Duris e Audrey Tautou in Mood Indigo

Il romanzo di Vian non voleva essere, infatti, solamente una storia sentimentale fra due giovani (nel film non così giovani) alla ricerca di quell’unico e vero grande amore, intendeva trattare molteplici tematiche (dall’amore per il jazz alla patafisica, dalle differenze economiche fra classi all’antimilitarismo fino all’irrisione della morale del tempo) legate assieme da uno stile narrativo surreale e a tratti grottesco. Michel Gondry cerca di riproporre tutti questi ingredienti senza tralasciarne nemmeno uno e il risultato è un film indigesto che trova nella confusione, nella superficialità e nell’eccesso visivo i suoi tratti maggiormente distintivi.

Ci troviamo di fronte ad un pasticcio visivo sin dalle prime scene e ogni situazione sembra interessata  solo ed esclusivamente al raggiungimento di uno sfarzo artistico che non tarderà a divenire stucchevole. Lo spirito surreale del romanzo viene colto e rappresentato da Gondry con scelte estetiche e narrative che di frequente sfociano nel puro nonsense dai risvolti fastidiosamente demenziali che per alcuni aspetti ricordano quel finto cinema d’autore del Godard anni ’80 (molte singole scene ricordano il becero delirio di Cura la tua destra, e ciò non va letto come un complimento). Se per tutto il primo tempo Gondry si gongola della sua visionarietà con scelte sguaiate ed anche un po’ irritanti (le lunghe scene di ballo che richiamano alcuni cartoon Disney degli anni ’30) nel secondo tempo, dopo il matrimonio tra Colin e Chloé (che assieme alla scena del massacro sulla pista di pattinaggio è forse una delle sequenze più brutte del film), si eccede in un’autorialità sempre più eccessiva e compiaciuta tale da evitare qualunque possibilità d’immedesimazione allo spettatore annoiato.

Roman Duris e Audrey Tautou

Roman Duris e Audrey Tautou

Il minutaggio è sicuramente eccessivo (si superano le due ore) e la narrazione, fiacca sin dal principio, non tarda a divenire inutilmente confusa nel secondo tempo con inutili lungaggini che non fanno altro che distrarre l’attenzione dalla tematica principale del film.

Sul reparto attoriale l’opera  si difende piuttosto bene e vede in scena un bravo Roman Duris (Il truffacuori) nei panni del ricco Colin, Audrey Tautou (Il favoloso mondo di Amèlie) che un po’ sotto tono interpreta la dolce Chloé e Omar Sy (Quasi Amici) nei panni del cuoco e amico di Colin.

Non manca qualche scelta registica carina (inevitabile per un film che punta tutto sullo stupore visivo) ma resta sicuramente troppo poco per rendere digeribile un piatto veramente pesante che conferma quanto sia sottile la linea di demarcazione che nell’arte moderna separa l’Artista dal Paraculo.

Giuliano Giacomelli

PRO CONTRO
  • Alcune trovate visive sono innovative e accattivanti.
  • Attori tutti piuttosto in parte.

 

  • Eccessivamente compiaciuto.
  • L’ironia spesso demenziale irrita anziché divertire.
  • Il minutaggio è eccessivo.
  • Narrazione fiacca e spesso confusa.
  • Tutti gli eventi sono descritti con enorme superficialità a causa di una smania nel voler racchiudere in due ore tutte le tematiche del romanzo.

 

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