Nocebo, la recensione

La più grande aspirazione di un autore horror è quella di raccontare storie che riescano a far coesistere le due grandi anime dell’immaginario orrorifico: quella legata al concetto del terrore proveniente dall’esterno e quella fautrice di un male insito dentro ognuno di noi. Così facendo, si può creare un ponte terrificante tra questi due poli solo in apparenza in contrapposizione e non complementari. Se per secoli i più hanno inteso, infatti, vampiri, fantasmi e demoni come unici abitatori degli incubi di generazioni di lettori e spettatori, la vera inquietudine si cela soprattutto nei nostri sentimenti più reconditi, i nostri lati oscuri, gli scheletri nell’armadio che tornano a galla e ci corrodono fino a trasformare noi stessi nei mostri tipici del genere horror.

Una concezione del terrore molto più complessa e profonda figlia anche dell’attenzione agli studi della psiche in auge nel Novecento, che ha dato il via ad un fiorire di romanzi e film al cui centro troviamo il forte valore simbolico ed evocativo delle immagini in chiave psicologica. Ne sono un esempio i tanti titoli dell’ultimo decennio che, attraverso la metafora dei fantasmi, hanno analizzato emozioni e sentimenti umani molto stratificati e delicati come l’elaborazione di un lutto, la solitudine latente e lo stato di abbandono e omologazione nel quale versa la nostra società attuale. Insomma, il cinema horror come occasione per un’analisi e riflessione a tutto tondo, sia in generale che nel particolare.

Tra questi autori ambiziosi e tutt’altro che ancorati ad un approccio lineare al genere, troviamo Lorcan Finnegan, già autore del brillante, distopico e surreale Vivarium, che questa volta vira verso la strada dell’horror puro con un film che condensa al suo interno elementi da thriller psicologico e altri da folk horror. Stiamo parlando del suo nuovo lavoro dal titolo Nocebo, con protagonista la bravissima Eva Green, nel quale il regista irlandese conferma il suo talento sia come autore capace di generare una tensione e un’inquietudine costanti in chi guarda sia come narratore nel raccontare la dirompente involuzione di una protagonista dilaniata dai sensi di colpa.

Christine è una stilista di successo e durante la presentazione delle sue ultime creazioni riceve una telefonata che la sconvolge e che lascia intendere l’avvenimento di una tragedia a lei molto vicina. Da quel momento in poi, la donna inizia a soffrire di una misteriosa malattia inspiegabile sia per i medici che per il marito, la cui diretta conseguenza è la difficoltà di respirazione e un lento e inesorabile logoramento fisico. La situazione prende una piega ancora peggiore quando alla sua porta si presenta una giovane donna filippina di nome Diana, i cui poteri taumaturgici prima arrecarono sollievo alla protagonista, e poi la trascinano nel più terribile degli incubi.

Finnegan si conferma ancora una volta un regista dall’approccio e dalle idee tutt’altro che banali grazie alle quali prende per mano lo spettatore e lo accompagna in un viaggio all’interno della mente umana, e di come essa si dissolva lentamente per via dei fantasmi da essa stessa generati. Un percorso distruttivo raccontato sia attraverso una storia solida e lineare sia, soprattutto, per merito di un impianto visivo molto evocativo ed in linea con lo smarrimento e i sentimenti contrastanti della protagonista Christine. Quest’ultima, sulla scia del potere simbolico di cui sopra, a poco a poco smarrisce le vesti di donna forte e di successo, per trasformarsi in un corpo sempre più debole e sudaticcio, corroso dal suo malessere al punto da faticare anche a respirare durante la notte, momento nel quale viene anche assalita da un enorme mostruoso insetto in una delle sequenze più spaventose del film.

L’insetto, tuttavia, non è altro che una componente della fauna deputata ad incarnare l’opprimente senso di colpa di Christine: vi è, infatti, anche una piccola cimice che si insinua dentro di lei e un cane cieco che la perseguita durante i furenti attacchi di panico. La figura più inquietante del film di Finnegan, però, è la giovane Diana il cui arrivo conferisce al film una buona dose di elementi stregoneschi di origine orientale, che hanno l’effetto di affascinare e stordire Christine e di scompigliare il già compromesso rapporto con lo scettico marito e di coinvolgere sua figlia Bobs in una maledizione senza fine. Di qui il film si arricchisce di riti legati ad un male imperituro, inevitabile, ma anche propenso a fare giustizia e stabilire i reali ruoli dei personaggi e chi tra di essi può ritenersi buono e chi cattivo. Una sorta di donna del destino dunque, Diana, che prima inquieta, poi rassicura e poi ribalta ogni certezza dello spettatore che alla fine resta spiazzato ed esce dalla visione di Nocebo in un misto di emozioni fatto di inquietudine, rabbia e speranza che almeno qualche volta giustizia possa essere fatta.

L’intento di Finnegan sembra proprio quello di trasmettere spunti di riflessione e immagini iconiche destinate a restare impresse negli occhi di chi guarda. Il regista irlandese sembra esserci riuscito in pieno, nonostante qualche leggera pecca rappresentata da una prima parte un tantino lenta e qualche dialogo non sempre centrato.

Vincenzo de Divitiis

PRO CONTRO
  • Immagini e sequenze dalla forte carica simbolica ed evocativa.
  • La tensione si tocca con mano e col passare dei minuti è sempre più palpabile.
  • Il declino fisico ed emotivo di Christine è ben rappresentato in ogni sua forma.
  • La figura di Anna è un perfetto mix tra una donna dall’aria rassicurante e il male assoluto.
  • La prima parte ha qualche passaggio un tantino lento e con qualche dialogo non sempre funzionale.
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Valutazione: 7.0/10 (su un totale di 1 voto)
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