Noi siamo la marea, la recensione

I movimenti del mare sono più antichi della stessa umanità: flusso e riflusso sono determinati dalle forze gravitazionali tra la Luna e la Terra. Le maree influiscono sui ritmi di vita di migliaia di specie viventi e contribuiscono alla regolazione dei movimenti del nostro pianeta. Cosa succederebbe se sparisse il mare?
Nel 1994, una sera come tante, l’oceano sulla costa di Windholm, fittizia città costiera tedesca, scompare sotto le maree e non tornerà mai più. Il caso diventa ancora più strano quando gli abitanti del villaggio si rendono conto che anche tutti i bambini sono scomparsi nottetempo. Dopo una lunga ricerca, questi vengono dichiarati morti e la comunità piange la gioventù perduta. Quindici anni dopo, la diciannovenne Hanna (Swantje Kohlhof), unica figlia rimasta a Windholm, porta i turisti sulla scena (sperando di far ritornare la vita nel villaggio) ed incontra il dottorando in fisica Micha (Max Mauff), che sta facendo ricerche scientifiche su questi misteriosi eventi insieme alla sua collega Jana (Lana Cooper). Hanna vuole convincere Micha che i bambini sono ancora vivi.

Presentato in concorso al 34° Torino Film Festival, dove si è aggiudicato il premio del pubblico, Noi siamo la marea (Wir sind die flut We are the tide), dal 21 giugno nelle nostre sale grazie a Mariposa Cinematografica e 30 Holding, è il lavoro di tesi del regista Sebastian Hilger e della sceneggiatrice Nadine Gottmann, firmato come prima coproduzione tra due scuole di cinema tedesche: la Filmakademie Baden-Württemberg e la Filmuniversität Babelsberg.

Con questo primo lungometraggio, Hilger sorprende positivamente, utilizzando una sceneggiatura completamente audace ed insolita. Caratterizzato da una storia interessante, da una buona impostazione della videocamera ed arricchito da una moderna post-elaborazione, l’opera gode di uno sfondo musicale accattivante sofisticato e filosofico, che ricorda le grandi opere hollywoodiane e che si fonde perfettamente alle scene cupe, dalla fotografia impeccabile.

I numerosi paesaggi e gli scatti della natura sono stati girati in parte sull’isola di Pellworm, nella parte settentrionale della Frisia ed in parte in una città nel Nord Reno-Westfalia. L’aspetto sociale e psicologico del film è molto interessante. Sorvolando sulla storia alla X-Files o, se vogliamo, oltrepassando la parte sci-fi della narrazione, grande peso assume l’aspetto sociologico di una comunità che, perdendo i bambini, perde la vitalità e allo stesso tempo il futuro. Nella città costiera il tempo sembra essersi fermato, separato dal mondo esterno il paese non evolve, edifici e spazi pubblici decadono inesorabilmente, e gli adulti rimasti li sono come impantanati nella melma e non riesco ad andare avanti. La popolazione è scettica nei confronti dei nuovi arrivati e sulla loro ricerca. Ma Micha e Jana vogliono aiutare a tutti i costi Hanna: unica speranza del villaggio e del futuro della comunità.

Inizialmente il protagonista è interessano solo ai numeri, ai valori e ai dati tecnici legati al fenomeno, fino a quando non deve riconoscere che alcuni fenomeni non possono essere calcolati e gli eventi sono anche legati alla sua vita. Il caso evolve: un progetto di ricerca scientifica diventa un processo di ricerca interiore. Così come il protagonista cambia la prospettiva di lettura del caso, il film cambia, a sua volta, angolazione. Le spiegazioni scientifiche non sono più in primo piano e il focus diventano le persone e i loro destini. Una di queste storie è quella del piccolo Mattie che sapeva già in anticipo che il mare sarebbe scomparso. Come è possibile? Non ci sono risposte, solo domande e pensieri. Hilger sottolinea che le possibilità di interpretazione dipendono dallo spettatore stesso. Il film presenta diverse sfaccettature e affronta svariati argomenti, combina dramma, mistero, thriller e storia d’amore. “Più spesso lo vedi, più lo puoi scoprire in lui”, riassume il produttore Edgar Derzian.

Noi siamo la marea è anche metafora della storia di una generazione che somiglia tanto agli abitanti del villaggio costiero. “Ci chiamano la generazione Y, ci hanno cresciuti facendoci credere di essere speciali e in grado di cambiare il mondo con le nostre idee e le nostre scelte. Siamo sempre in attesa – racconta Hilger – del prossimo contratto a tempo determinato, del prossimo subaffitto, della prossima relazione a breve termine. Siamo intrappolati tra le incertezze. È questa la vita, oppure deve ancora cominciare? E in tal caso quando comincerà? Cambierà mai qualcosa? Il mio film parla della delusione di un’intera generazione e della sua determinazione ad andare comunque avanti”.

Hilger riesce a creare l’atmosfera opprimente, allegoria del mondo contemporaneo, di un luogo traumatizzato, trasmettendo la sensazione di stasi al pubblico. La monotonia a Windholm porta alla perdita del senso del tempo: ci si dimentica che Micha e Jana trascorrono solo pochi giorni lì. Anche per questo motivo ci si sente trasportati, attraverso il film, in un altro mondo.

Il lavoro che il regista fa con la videocamera è eccentrico e di grande impatto. L’ambientazione risulta perfetta e i bellissimi scatti lunghi sul mare di Wadden sono molto evocativi. Noi siamo la marea è come una fiaba: ambientata sia in luoghi fantastici che in luoghi costruiti dall’uomo. Ma non è tutto oro quello che luccica. Le pecche, inevitabilmente, ci sono. Un punto debole, se vogliamo, sta nella trama che non risulta altrettanto coerente quanto la grafica e l’acustica. C’è troppa carne al fuoco? C’è troppo di non concluso? É solamente tutta una grande metafora della generazione Y? C’è troppo lasciato all’immaginazione? Forse sì. Ma chi lo dice che questo non sia il pregio primario dell’opera? I due protagonisti sono inavvicinabili, sembrano sempre dislocati in maniera incoerente da un posto all’altro. Molte scene mancano delle transizioni, sembrano stranamente isolate. Ci sono dialoghi che, sulla carta, potrebbero essere anche passabili, ma che recitati risultano quasi ridicoli.

Il film a tratti sembra non progredire, annodandosi in una ricerca metafisica di significato. Hilger rifiuta deliberatamente di dirigere il film in una direzione specifica. “Volevamo raccontare qualcosa di più della realtà”, dice Derzian. Il regista vuole creare qualcosa di molto grande, artistico e per far ciò mette da parte il senso e la razionalità. E ci riesce. Non si tratta di trama, si tratta di emozioni. Noi siamo la marea vuole essere ambizioso, anticonvenzionale e non adatto allo spettatore che cerca la storiella semplice semplice e comprensibile. Un bel film senza risposte, ma che a suo modo rispetta diversi equilibri. Una bella storia, metafora di un’intera generazione. Un’opera prima, dignitosissima, nonostante i punti deboli.

Ilaria Berlingeri

PRO CONTRO
  • La fotografia.
  • La colonna sonora.
  • I campi lunghi.
  • La trama frammentaria.
  • I dialoghi.
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Noi siamo la marea, la recensione, 8.0 out of 10 based on 1 rating

5 Responses to Noi siamo la marea, la recensione

  1. Melo ha detto:

    “Sorvolando sulla storia alla X-Files o, se vogliamo, oltrepassando la parte sci-fi della narrazione”? Scusa, come puoi giudicare un’opera “sorvolando” su alcune caratteristiche? L’impressione è che il premio del pubblico a Torino dipenda moltissimo dalla “parte sci-fi della narrazione”. E che certe letture impongano, non solo solo un mercato, ma tutto un’idea di arte identificabile con quella recentemente denunciata da Aprà in un articolo di cinecittà news. E temo che queste forme di censura a priori abbiano ripercussioni politiche e sociali delle quali sarebbe ora di assumersi le responsabilità.

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  2. rolando carmicio ha detto:

    la marea è’ la metafora della vita; quella vita che sfugge alla codificazione che la gente vorrebbe dargli. L’imperscrutabile interiorità dell’animo che non pùo trovare una spiegazione scientifica. L’eterna inquietudine che si ripresenta come l’alternarsi della marea.

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  3. Leopoldo ha detto:

    Siamo alla frutta. Un film che vorrebbe essere artistico, metaforico, filosofico, ecc. ecc e che riesce soltanto ad essere noioso ed estetizzante. Penosa la ricerca di esplicazioni scientifiche con tanto di costanti gravitazionali, materia oscura e misteriosi fenomeni naturali, forse per giustificare la pretesa di essere anche fantascienza. Chi cerca stile, arte, psicologia e metafore si guardi Melancolia di Lars von Trier e faccia i debiti paragoni. Da cestinare.

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  4. Luigi ha detto:

    Che film.palloso e tipico di registi intellettualoidi che vogliono gilosofeggiare ..! Che palle!

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  5. Salvatore ha detto:

    Pretenzioso e incomprensibile. Noioso e prevedibile il discorsetto dell’adolescente ribelle. Non perdete tempo a guardarlo.

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