Non ho mai…: il trionfo dell’inclusività in salsa camp

Il 27 aprile Netflix ha rilasciato lo scoppiettante Non ho mai… scritto e ideato da Lang Fisher (Brooklyn Nine-Nine, The Mindy Project, The Onion News Network) e Mindy Kaling (The Office, E poi c’è Katherine, The Mindy Project, Saturday Night Live) che racconta le disavventure di un’adolescente americana nerd e secchiona di origine indù e delle sue svitate amiche.

Nonostante la trama quasi banale, potete stare tranquilli, non è un’altra stupida commedia americana e il pubblico che ha amato Insatiable e le sue ciniche sfumature camp non rimarrà deluso.

La voce narrante di John McEnroe, sì proprio lui, racconta la vita di Devi Vishwakumar (Maitreyi Ramakrishnan), una ragazza di sedici anni indo-americana che nel giro di un anno ha perso l’amatissimo padre a causa di un infarto e per un breve periodo anche l’uso delle gambe; all’inizio del nuovo anno scolastico ha il solo progetto di levarsi di dosso l’etichetta della “sfigata col dramma familiare” e di condurre una vita normale, magari riuscendo a conquistare il ragazzo più bello della scuola, Paxton (Darren Barnet).

non ho mai

Con le sue migliori amiche Eleanor (Ramona Young) e Fabiola (Lee Rodriguez), rispettivamente un’aspirante attrice di origine asiatica e una programmatrice elettronica di origine afroamericane, forma il gruppo delle NU (Nettezza Umana) e per scrollarsi di dosso tale appellativo decidono di organizzarsi per accalappiare i ragazzi più in vista della scuola, ma ovviamente le cose non andranno secondo i piani. Devi vive con l’austera madre Naili (Poorna Jagannatha), che come tutte le madri sogna un futuro prestigioso per la figlia e vuole che si concentri esclusivamente nello studio, e la bellissima cugina indiana Kamala (Richa Moorjani), dottoranda in biologia, che sembra uscita direttamente da Bollywood ed è fidanzata a distanza con un misterioso compaesano.

Tra gaffe, incomprensioni con le amiche e battibecchi col rivale di sempre Ben Gross (Jaren Lewison), Devi riesce ad attirare l’attenzione del bellissimo Paxton e a diventare sua amica, ma quasi niente fila liscio come l’olio: la ragazza è una bomba a orologeria e oltre ai vari momenti di disagio tipici della sua età deve ancora riuscire a elaborare la morte del padre e cercare di rinsaldare il rapporto la madre.

Non ho mai

Nei dieci episodi da mezz’ora ciascuno le vicende multietniche di questa intensa dramedy si svolgono in scenari “tipicamente americani” come le colorate aule di strampalati corsi di storia, le fluorescenti villette con giardino e il rassicurante studio della dottoressa Jamie Ryan (Niecy Nash), la psicologa/Grillo Parlante della protagonista.

I dialoghi pregni di sarcasmo e battute stranianti danno vita a personaggi multi-sfaccettati: ognuna delle protagoniste ha un proprio “dress code” e un lessico base che ne risalta la personalità tanto che sarà impossibile non affezionarsi alle stramberie di ciascuno; come per Insatiable la sceneggiatura gioca sia coi cliché tipici della commedia adolescenziale (ubriacature a feste in piscina, aiutare i più “boni” a fare i compiti, dire bugie per guadagnare popolarità)  che con quelli sulla diversità etnica e di genere (ebrei competitivi, indiani secchioni, asiatici frivoli, teatranti gay etc..) ma ammicca alla consapevolezza dello spettatore.

Non ho mai

La giovane Maitreyi Ramakrishnan ci commuove con la sua Devi dall’apparente scorza dura ma dal cuore tenerissimo e bisogna dire che il suo triangolo amoroso con Paxton e un altro personaggio è ben giostrato perché sino all’ultimo lo spettatore non sa per chi parteggiare. Darren Barnet con la sua bellezza poco yankee e il fascino enigmatico riesce a dare umanità alla figura dello sportivo stra-manzo ambito da tutta la scuola: senza alcun pregiudizio inizia un’indefinibile relazione con la protagonista e, nel bene e nel male, verrà risucchiato nel suo vortice di emozioni.

Dal meraviglioso Sognando Beckham del 2002 pensavamo di averne abbastanza di serie tv e film che parlano di integrazione e adolescenza ma la bellezza di Non ho mai… consiste nella naturalezza con cui il “solito” conflitto socioculturale tra varie etnie e/o generazioni viene rappresentato ma non diventa il fulcro narrativo, in modo che qualsiasi adolescente imbranata di qualsiasi paese si possa rispecchiare nelle figuracce barbine della protagonista.

Non ho mai

Tenendo presente che ciascun personaggio della serie appartiene a un’etnia diversa e deve a sua volta affrontare problemi particolari ma al tempo stesso comuni (fare coming out, superare l’abbandono da parte di un genitore, solitudine, vergogna per i propri familiari) nell’epoca contemporanea, il tutto in maniera eccentrica, si può dire che la serie è un vero trionfo di inclusività in salsa camp.

Ilaria Condemi de Felice

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