Parigi può attendere, la recensione

La forza di un imprevisto rimette in gioco la vita di Anne. Questa la premessa, semplice semplice, di Parigi può attendere.

Un’ottima Diane Lane, madre e moglie quietamente infelice e trascurata dal marito Michael, Alec Baldwin produttore drogato dalle necessità della professione, che per effetto di un quanto mai auspicabile attorcigliarsi delle circostanze si ritrova impossibilitata a seguire il marito nel suo viaggio d’affari nell’Europa dell’Est. L’intervento cavalleresco di Jacques, Arnaud Viard, socio francese di Michael, che si propone di scortare la signora in macchina da Cannes a Parigi, apparentemente risolve la questione. Con piena soddisfazione di entrambe le parti, o almeno così sembrerebbe, perché le intenzioni di Jacques, a giudicare dalla rapidità con la quale muta le circostanze a suo favore, sono scopertissime. Il suo itinerario Cannes-Parigi è quanto di più lontano si possa immaginare da un progressione limpida e lineare dal punto A al punto B.

Il suo gioco di seduzione, incorniciato da scorci pittoreschi, squisitezze gastronomiche, buon vino e velleità pedagogiche, si compone di una serie di digressioni che, incidentalmente, sboccano nella capitale francese.

La deviazione come forma d’arte. A dieci anni da oggi, se Parigi può attendere costituirà ancora oggetto di conversazione, lo dovrà principalmente al fatto che il film segna l’esordio nel cinema di finzione di Eleanor Coppola, un passato di artista visuale, scrittrice e documentarista, suo tra l’altro il celebre making – of codiretto Viaggio all’inferno ( 1991), ovvero l’ apocalisse dentro l’apocalisse, succosissimo dietro le quinte sulle catastrofiche (eufemismo) riprese di Apocalypse Now.

Eleanor Coppola moglie (Francis Ford), madre (Sofia, Roman) scrive e dirige Parigi può attendere a partire da uno riflesso di vita vissuta. A questo punto, praticamente ogni membro del clan ha diretto almeno un film narrativo, e questo è un record.

La sua liberazione, come donna prima ancora che come artista, sembra funzionare più efficacemente di quella della sua controparte filmica. Anne e Jacques rappresentano due prototipi, due sensibilità, due retaggi culturali, due modi di vedere il mondo tanto diversi, all’apparenza, da non poter fare a meno di attrarsi irresistibilmente. La donna è protagonista, ma per buona parte del film è l’uomo a tenere le redini del gioco.

Forse soltanto in conclusione del film la non reattività di Anne sembra stemperarsi in un sorriso malizioso che si attesta a metà strada fra la passività di un compromesso con la vita e il barlume di un’autentica decisione. In controluce, si intravedono riflessioni sul tempo e la solitudine, sul senso di (in)utilità di una donna, passati i cinquanta, una volta esauriti i compiti tradizionali di angelo del focolare.

Parigi può  attendere è un road movie abbastanza convenzionale nella struttura, sbozzato scrupolosamente per contrabbandare bellezza ad ogni tappa, bellezza che attinge in abbondanza nel cibo, nel vino, negli scenari e nei rimandi estetici, nell’interazione fra i suoi protagonisti. Eleanor Coppola non ha paura di cedere alle lusinghe del film cartolina, di giocare con il pittoresco ed il cliché, di piegare ai suoi scopi i limiti di un discorso che certo non è perfetto e non corre il rischio di volare troppo alto, ma che non può essere accusato di non vantare una notevole dose di gradevolezza.

Francesco Costantini

PRO CONTRO
  • Cannes, la Provenza, Lione, Parigi. Il buon, cibo, il buon vino, Renoir…
  • Diane Lane lavora con Francis, lavora con Eleanor, è praticamente una proprietà della famiglia Coppola. Porta al film grazia, fascino e femminilità.
  • Un buon film, che però non prende mai il volo. E a livello di struttura, un po’ convenzionale.
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Parigi può attendere, la recensione, 6.0 out of 10 based on 1 rating

One Response to Parigi può attendere, la recensione

  1. GIOVANNI ha detto:

    UN FILM CHE SI GUSTA DALL’INIZIO ALLA FINE. LO SPETTATORE VORREBBE CONTINUARE A VEDERLO.

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