Paterson, la recensione

«Abbiamo molti fiammiferi in casa nostra / Li teniamo a portata di mano, sempre / Attualmente la nostra marca preferita / è Ohio Blue Tip». Chissà se la nostra immensa letteratura ha già scritto qualche verso in onore di un fiammifero; la poesia che si nasconde dietro le piccole cose, è la protagonista di Paterson, ultimo film diretto dal regista americano Jim Jarmusch. Dietro quelle azioni concatenate che chiamiamo con approssimazione routine in molti vedrebbero solo noia e oppressione, invece il regista scova l’arte, fa scaturire da esse la poesia.

A Paterson, New Jersey, vive un autista di autobus di nome Paterson (esatto, proprio come la città) che coltiva la passione per la poesia. Paterson ama sua moglie Laura che riempie le sue giornate alla ricerca di passioni, cambiamenti ed euforia per nuove esperienze.

Non c’è nulla di fortemente drammatico nei film della maturità di Jim Jarmusch: le vite dei suoi protagonisti scorrono lente e tranquille, come quella del padre interpretato da Bill Murray in Broken Flowers o dei vampiri di Solo gli amanti sopravvivono. Anche in Paterson, gli eventi si susseguono con leggerezza senza creare particolari conflitti o snodi narrativi. “Si tratta di un film che dovremmo lasciarci scivolare addosso, come le immagini che osserviamo dai finestrini degli autobus e che si muovono come una gondola meccanica in una città piccola e dimenticata”, afferma il regista che ritrova nelle azioni quotidiane la bellezza della vita e dell’arte stessa. Un cinema che omaggia la poesia, ma lo fa in maniera del tutto atipica e fuori dall’ordinario: in questa storia, non c’è niente di male a ritrovare la stessa poeticità in Petrarca, Dante, in un pacchetto di fiammiferi o nei cupcake fatti in casa.

Il protagonista, interpretato brillantemente da Adam Driver, è felicemente stralunato, saggio, introverso e fuori dal mondo: non possiede un computer (elemento autobiografico del regista) ma non odia la tecnologia, la considera solo una cosa “altra” rispetto alla sua vita. Essa procede serenamente tra una conversazione rubata durante il turno di lavoro, la passeggiata notturna con l’adorata cagnolina Nellie e la solita birra al bar. Eppure anche questa perfetta circolarità può essere facilmente destabilizzata, e non serve un evento catastrofico o una morte improvvisa, bastano piccole modificazioni per rendere nuovamente la nostra vita imprevedibile, ricca di quella fascinazione che Paterson cerca di fissare su carta ogni giorno. A fare da contraltare alla tranquillità di quest’uomo, il regista colloca strategicamente il personaggio di Laura che strizza l’occhio all’esasperato dinamismo dell’uomo contemporaneo e del racconto cinematografico.

Sette giorni della vita di Paterson, bastano a Jarmusch per dimostrare che alla parola “ordinario” è possibile accostare le più grandi emozioni dell’arte. Basta ricordarsi di guardare con un occhio più attento le piccole/grandi cose che ci circondano.

Matteo Illiano

PRO CONTRO
  • La poesia dell’ordinario incontra la maestria di un grande regista.
  • Narrazione unica nel suo genere, dai ritmi calmi e riflessivi.
  • Impeccabile performance di Adam Driver.
  • Sconsigliato a chi non ha amato i precedenti film di Jarmusch.
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Valutazione: 8.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Paterson, la recensione, 8.0 out of 10 based on 1 rating

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