Peppermint – L’angelo della vendetta, la recensione

Non penso sia corretto scomodare il movimento MeToo ogni qualvolta sul grande schermo venga proposta una storia in cui l’universo femminile è protagonista. Si rischia di far scivolare una battaglia profonda in un trend produttivo in linea con i tempi che corrono, un ferro da battere finché è caldo.

Prendete ad esempio la storia Riley North (Jennifer Garner). Dopo aver assistito impotente all’omicidio del marito e della famiglia si ritrova da madre e moglie felice a sicario spietato spinta da un’unica motivazione: la vendetta. Il resto è fuffa, con la polizia, giustizia e criminalità organizzata che non riescono né a starle dietro né a elaborare una risposta adeguata. E se questo piccola sinossi riesce ad esaurire l’intero contenuto del film, c’è poco da stare attenti a spoiler e rivelazioni in attese.

Eppure, sembra che i produttori Tom Rosenberg e Gary Lucchesi abbiano dovuto agire in fretta per accaparrarsi i diritti della sceneggiatura di Peppermint – L’angelo della vendetta, forse attirati anche dal nome del regista previsto per darle vita, Pierre Morel (Banlieu 13, Taken – Io vi troverò).  L’idea di un seguito ideale, ma con una protagonista femminile, sarà stata allettante ma forse può bastare solo a convincere un produttore a finanziare una data opera, perché poi c’è bisogno di trasformare l’idea in film.

Se il tema di fondo del film è cosa sarebbe disposta fare una persona dopo aver perso tutto quello che amava, che si tratti nello specifico di una donna che si trasforma nell’angelo della vendetta non aggiunge nulla ad una storia scarica fin dall’inizio e che non sorprende in nessun momento cruciale. L’arco narrativo sostenuto dalla Garner vorrebbe insinuare nello spettatore il dubbio che rendere pan per focaccia possa essere giustificabile in un caso specifico. Una violenza intelligente, senza danni collaterali a innocenti, si protrae per tutto il film arrancando sempre di più fino a diventare un puro esercizio di cinema d’azione.

In una scena del film viene richiamato il manifesto pubblicitario che ha accompagnato il film durante la promozione pubblicitaria. C’è un graffito con la sagoma di Riley/Garner diventata icona di un malmesso quartiere della periferia di Los Angeles, come a volere comunicare che c’è una nuova eroina, pronta a diventare protagonista di una saga cinematografica. Ha le ali d’angelo ma padroneggia l’uso di armi militari senza batter ciglio, ha il tempo di redimere con le cattive un padre che trascura il figlio e forse tutto quello che ha fatto non è sbagliato, come ci tiene a ricordare il finale del film.

Pur rimanendo poco credibile – l’impianto narrativo, non l’interpretazione della Garner – c’è da fare i complimenti al regista sulla riuscita in termini visivi dell’azione pura. Le scene di combattimento sono fluide e realistiche, non semplicemente buttate lì a caso e infarcite di effetti speciali e digitali.

È interessante come anche gli usi e costumi della realtà non-cinematografica si affaccio nella narrazione senza risultare posticci o forzati. Forse uno dei pochi spunti interessanti dell’intero film.

Andrea De Vinco

PRO CONTRO
  • La cura e l’originalità delle scene d’azione.
  • Una narrazione scarica senza reali colpi di scena.
  • I riferimenti alla tecnologia sono particolarmente integrati con la storia.
  • Non basta un personaggio femminile forte per costruire un film.
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