Pixels, la recensione

Nel 2010 il videomaker Patrick Jean postò su You Tube un video che in breve tempo è diventato virale: si chiamava Pixels e in un paio di minuti mostrava i personaggi dei videogiochi arcade classici invadere New York trasformando in giganteschi pixels qualsiasi cosa toccassero. Da questo spunto la Happy Madison di Adam Sandler ha ricavato Pixels, lungometraggio fanta-comedy dal tono ultra nostalgico che parte bene, poi comincia a zoppicare inesorabilmente per riprendersi con le sue spettacolari citazioni videoludiche.

Nel 1982 la NASA invia nello spazio una capsula contenete immagini della cultura popolare terrestre, tra le quali anche un filmato con la finale di un importante gara di videogiochi durante la quale Sam Brenner venne battuto all’ultimo a Donkey Kong da Eddie “Fire Blaster” Plant. Trentatre anni dopo qualcuno ha raccolto la capsula ma ha frainteso il messaggio, pensando che quelle immagini documentassero l’addestramento bellico terrestre. Gli alieni, sentendosi minacciati, attaccano così la Terra con delle navicelle che riproducono le fattezze dei videogames anni ’80 e sfidano i terrestri a una guerra molto simile alle dinamiche di gioco di quegli arcade. Il governo degli Stati Uniti non sa che fare e il Presidente decide di contattare il suo amico d’infanzia Sam Brenner, che ora fa il tecnico per un negozio di elettronica.

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Pur prendendo ispirazione da un video a-narrativo, Tim Herlihy ha ricavato un soggetto accattivante e vincente, il classico high concept che ogni produttore comprerebbe a occhi chiusi. Sviluppato in sceneggiatura con il sodale Timothy Dowling e affidato a un professionista di cinema per famiglie come il regista Chris Columbus, Pixels si presenta subito come un promettente blockbuster macina-botteghino, ma c’è un problema che si chiama Adam Sandler.

Anche produttore del film, Sandler riveste il ruolo di protagonista e fa si che quello che sulla carta sarebbe dovuto essere una sorta di nuovo Ghostbusters o Men in Black sia di fatto la classica commedia sandleriana. Magari per qualcuno questo potrebbe non essere essenzialmente un male, anche perché il comico nato dal Saturday Night Live riceve da sempre consensi, soprattutto negli States, ma negli anni Sandler si è fatto portavoce di una comicità fiacca, poco divertente, volgarotta e perfino antipatica. Pixels, nella sua parte centrale, è così.

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L’inizio ambientato negli anni ’80 è promettente, pur sbandierandoci il suo intento nostalgico che punta a un pubblico che forse non è esattamente quello che potrebbe riempire le sale. Si parla ai quarantenni di oggi, quelli nati con gli arcade da sala giochi, quelli diventati miopi a causa di Super Mario, Tetris, Space Invaders e Pac-Man, quelli che forse non vanno a guardare il nuovo film di Adam Sandler. O forse si. Fatto sta che finito il prologo e compiuto il salto temporale ai giorni nostri, ci ritroviamo dinnanzi a una commedia un po’ tirata via, con battute che non sempre colgono nel segno e personaggi poco pregnanti, a cui danno volto altrettanti comici poco brillanti ma amati negli Staes, come Kevin James – che è un impopolare e improbabile Presidente USA – e Josh Gad, che raggiunge apici di demenzialità che hanno dell’irritante. Per fortuna che c’è la bella Michelle Monaghan post True Detective che ci riporta con i piedi per terra e, soprattutto, il Tyrion Lannister di Game of Thrones Peter Dinklage, che interpreta il “bastardo” Fire Blaster.

Il miscasting per un film di questo tipo è la prima cosa che salta all’occhio e superati i canonici 40 minuti “introduttivi” entriamo finalmente nel clou che è rappresentato dall’invasione aliena pixelosa e il conseguente gioco tra umani ed extraterrestri. La messa in scena delle sessioni di “guerra” sono ottime e vedere i nostri giocare live a Centipede, Pac-Man e Donkey Kong è davvero divertente, anche per il modo in cui la meccanica (gli schemi, come direbbe il personaggio di Brenner) di quei giochi è stata applicata all’azione reale, con l’apice raggiunto nella sessione di Pac-Man in cui fa la comparsa in un cammeo anche il suo vero creatore Tohru Iwatani.

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Non manca la morale buonista, un happy end in cui tutti trovano un’anima gemella e un personaggio carino e “puccioso” pronto a far impazzire i bambini che non lo conoscevano, ovvero Q*bert, la palla arancione con proboscide e occhioni protagonista dell’arcade della Gottlieb e pronto a finire di nuovo al centro di merchandising massiccio.

Con intenti simili a quelli del recente Ralph Spaccatutto, Pixels non risulta altrettanto riuscito ma è comunque un prodotto d’intrattenimento adeguato a passare un paio d’ore di spensieratezza, soprattutto per chi riuscirà a cogliere i numerosi riferimenti alla cultura classica videoludica… certo che se avessero scelto un cast più adeguato e Sandler si fosse limitato a produrre, avremmo avuto un gioiello per il suo genere. Ma così non è stato…

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Intento nostalgico gestito con cognizione di causa.
  • Tutte le sessioni di gioco live sono altamente spettacolari e divertenti.
  • L’idea di base è vincente… c’è poco da dire!
  • Adam Sandler.
  • Il cast di protagonisti non convince affatto.
  • La lunga parte centrale rischia di uccidere il film.
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Valutazione: 6.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Pixels, la recensione, 6.0 out of 10 based on 1 rating

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