Point Break, la recensione

Hollywood è disperatamente a corto di idee, e questa non è una novità.

Gli ultimi dieci, quindici anni di cinema americano – la mia attenzione si concentra in questo caso sul versante mainstream – lasceranno un’impronta nella storia, non fosse altro che per la torrenziale quantità di rifacimenti, sequels, prequels, reboots, quello vs quell’altro… ci siamo capiti.

Non c’è nulla di sbagliato, a priori, nel tentare di rinvigorire un filone cinematografico di provato successo, magari un po’ arrugginito, replicando strade già battute e nella misura in cui si ritiene ci sia ancora qualcosa di meritevole da raccontare. Finchè il pubblico risponde, vale tutto, no? Ovviamente no. Ma questo non vuol dire che non saltino fuori prodotti interessanti, di quando in quando. Nelle ultime settimane, tanto per fare un esempio, il Risveglio della Forza e Creed hanno resuscitato due saghe storiche combinando con originalità ed arguzia il vecchio ed il nuovo. Il Cavaliere Oscuro, niente di meno che un sequel ed un capolavoro del genere, ha inciso in maniera decisiva su un certo modo di fare cinema d’azione al giorno d’oggi. I piani pluriennali di Kevin Feige, dall’impronta vagamente staliniana, puntano a riversare l’universo Marvel sullo schermo con implacabile costanza, e certo non metteranno i bastoni fra le ruote all’imperante dittatura dei cine-comics, ma l’idea di materializzare sullo schermo un intero universo fumettistico e le sue inestricabili ramificazioni, almeno sulla carta, è un’idea interessante.

POINT BREAK

Il senso di questo interminabile pistolotto è che il piuttosto malriuscito Point Break, remake dell’omonimo film di Katherine Bigelow del 1991, protagonisti Keanu Reeves e Patrick Swayze, annoverato a buon diritto (almeno per chi scrive) tra i cult del cinema d’azione americano degli anni ’90, è il frutto consapevole di una certa tendenza del cinema americano, e di questa tendenza rappresenta la maschera più deteriorata.

Johhny Utah è un atleta di sport estremi che si diletta a scorrazzare per scoscesi sentieri di montagna in compagnia di un buon amico e della sua moto. Per You Tube e per la gioia degli sponsor, tenta il colpaccio. Ovviamente, gli va male. Ovviamente, il senso di colpa lo allontana dalla vocazione. Ovviamente, cerca di ritrovare un senso per le cose nel posto più lontano possibile dal suo vecchio mondo. Ovviamente, il ragazzo si arruola nell’FBI. Regole. Ordine. Disciplina. Ovviamente, il destino rimette Utah in carreggiata con un colpo di mano che nemmeno la fantasia impigrita del più indolente degli sceneggiatori avrebbe potuto congegnare: infiltrarsi in un gruppo di rapinatori, devoti di sport estremi, che tentano a) di superare 8 prove pisco – fisiche al limite dell’impossibilità b) di vivere secondo le proprie regole c) avvicinarsi alla natura restituendole qualcosa e d) fare opera di redistribuzione della ricchezza mondiale.

point break 2

Occupy Wall Street incontra Robin Hood che incontra Green Peace che incontra la filosofia fai da te. Tutto questo resta ovviamente al livello delle buone intenzioni, e forse nemmeno a quello, perché Point Break, regia di Ericson Core, con Edgar Ramirez, Teresa Palmer, Luke Bracey e Ray Winstone nel cast, decide che al giorno d’oggi un film può benissimo fare a meno di una buona storia, di una solida sceneggiatura, di personaggi credibili e dotati se non di sfumature, quantomeno di un’illusione di profondità.

Il film soddisferà certamente i palati assetati di adrenalina degli aficonados dell’action, forte di stunt davvero incredibili, paesaggi mozzafiato e di un gusto per l’autenticità, che è l’unica idea di regia degna di nota in tutto il film. E può risultare addirittura godibile e divertente, a patto però di resettare le proprie aspettative al minimo livello possibile circa quello che un film può offrire oggi allo spettatore moderno. Scarnificando fino all’osso tutto ciò che di buono c’era nell’originale, Point Break riflette l’inconsistenza di un’industria cinematografica che non soltanto non sa più pensare sé stessa con originalità, ma, questo è peggio, talvolta non è nemmeno capace di replicarsi in maniera dignitosa.

Francesco Costantini

PRO CONTRO
  • Gli stunt sono notevoli
  • L’originale del 1991
  • La recensione negativa di questo film è stata redatta sulla base di una proiezione in 2D
  • Personaggi caratterizzati in maniera bidimensionale
  • Tutto quello che succede fra uno stunt e l’altro

 

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Valutazione: 5.0/10 (su un totale di 1 voto)
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