Poveri ma ricchi, la recensione

I Tucci sono una famiglia povera che vive a Torresecca, un paesino del Lazio vicino Zagarolo. In famiglia c’è Danilo, amante dei supplì e impiegato in un piccolo caseificio, e sua moglie Loredana, casalinga maniaca del pulito. Ci sono anche i loro due figli Tamara, adolescente vanitosa schiava di Twitter, e il piccolo Kevi (rigorosamente senza la “n” finale), intelligentissimo ma costretto ad abbassare il proprio quoziente intellettivo per adeguarsi all’ambiente familiare. Ma quella dei Tucci è una vera famiglia allargata poiché con loro vive anche lo zio Marcello, botanico nullafacente, e nonna Nicoletta che trascorre le giornate guardando serie televisive. Un giorno come tanti accade qualcosa di totalmente inaspettato: i Tucci vincono cento milioni di euro alla lotteria. Euforici per l’accaduto, decidono subito di non far sapere nulla a conoscenti ed amici ma quando la notizia dilaga in paese c’è solo una cosa da fare: scappare da Torresecca e trasferirsi a Milano, città dei ricchi. Ma la nobiltà milanese è ben diversa da quella che i Tucci immaginavano e adeguarsi alla nuova vita è davvero impegnativo.

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Un gruppetto di liceali pieni di ideologie e sogni alle prese con gli esami della propria vita e un professore, detto “La Carogna”, assolutamente da temere. Questo il concept di Notte prima degli esami, film generazionale che, dieci anni fa, ha fatto impazzire i botteghini di tutt’Italia e che ha fatto emergere un regista che da lì in avanti è divenuto un vero “protagonista” della nuova commedia italiana. Adesso Fausto Brizzi è arrivato alla sua decima regia e, in occasione di questo traguardo importante, ha ben deciso di cimentarsi con qualche cosa di vagamente differente rispetto alla sua filmografia passata. Per la prima volta, infatti, Brizzi decide di appendere al chiodo (anche se non del tutto) la commedia sentimentale per dedicarsi ad un vero e proprio film comico, in cui non è il sentimentalismo a fare da padrone bensì la risata schietta, sincera e di pancia.

Seconda novità per Brizzi è quella di aver deciso, arrivato a questo punto, di mettersi alla prova con un remake così da seguire quest’inspiegabile moda, sorta ormai da qualche anno, di adattare al mercato italiano commedie che in tempi recenti si sono più o meno distinte all’estero.

Per l’occasione, sotto l’attenzione del regista e della sua Wildside è caduta la commedia francese Les Tuche diretta da Oliver Baroux nel 2011 e mai approdata sui nostri schermi.

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In Poveri ma ricchi Fausto Brizzi si conferma un abile narratore e confeziona un film ritmato e sufficientemente divertente che, per situazioni e tipologia di gag inscenate, si discosta molto da quella “delicatezza” tipica del suo cinema per avvicinarsi maggiormente a un umorismo più vanziniano.

Nel tentativo di rincorrere situazioni comiche e paradossali, in Poveri ma ricchi vengono riproposti tutti i cliché tipici della commedia all’italiana rievocata sin dal titolo, di certo non casuale ma desideroso di strizzare l’occhio al capolavoro firmato da Dino Risi nel ’57.

Il più grande limite del film sorge proprio a seguito di questa intenzione – si spera voluta – di voler riproporre situazioni a cui la commedia italiana è da sempre abituata. Così facendo nasce un film che sa di già visto sin dai titoli di testa e si affida a risate prevedibili poiché figlie di momenti già visti in almeno un milione e mezzo di altre commedie.

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Le vicissitudini dei Tucci, una volta arricchiti e giunti a Milano ma anche nella loro condizione iniziale di burini squattrinati, riportano alla memoria una dozzina di cinepanettoni passati, così come alcune dinamiche tra personaggi vengono riproposte esattamente uguali ad altri film. Basti pensare al personaggio di Marcello, interpretato da Enrico Brignano, che da arricchito deve far finta di essere povero per piacere a Valentina (la simpatica Lodovica Comello), una ragazza che odia i ricchi e che lavora nell’hotel in cui i Tucci alloggiano. La dinamica tra Marcello e Valentina, seppur simpatica, non può non riportarci alla memoria il divertentissimo Grand Hotel Excelsior (Castellano e Pipolo, 1982) in cui Enrico Montesano interpretava un umile cameriere dell’hotel desideroso di far credere alla figlia d’essere un ricco uomo d’affari ospite nell’albergo. Allo stesso modo, la visita dei coniugi Tucci alla mostra d’arte moderna di Milano è una proiezione delle indimenticabili vacanze intelligenti di Alberto Sordi e consorte nel cult Dove vai in vacanza? (Bolognini, Salce, Sordi, 1978).

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Come in tutti i precedenti film di Brizzi, anche in questo caso un lavoro considerevole viene svolto dal cast che vede protagonisti, oltre ai già citati Brignano e Comello, un bravo Christian De Sica, vero mattatore della risata e che nell’interpretare un burino coi soldi si trova decisamente a suo agio, una Lucia Ocone spesso sopra le righe e una formidabile Anna Mazzamauro che, pur esprimendosi principalmente con “elegantissime” frasi fatte del tipo “e ‘sti cazzi!” o l’imprescindibile “nun me rompe li cojoni!” che tanto ci ricordano il gergo dell’inimitabile Signorina Silvani, è la vera e indiscussa star del film.

Una “favoletta” comica che si lascia guardare con simpatia, veloce e frizzate, ma purtroppo poco incisiva e incapace di lasciare il segno. Poche ore dopo la visione del film si ricorderanno solo due cose: la performance di Al Bano e la barzelletta non raccontata da Christian De Sica del “pappagallo che gli sudano le palle”.

Giuliano Giacomelli

PRO CONTRO
  • Brizzi ha il dono della narrazione così che, anche i suoi film meno riusciti, sono sempre ritmati e piacevoli da vedere.
  • Più di qualche battuta va a segno nel modo corretto.
  • Anna Mazzamauro.
  • Un cast che, nel complesso, funziona.
  • La fiera del luogo comune in cui tutto, ma proprio tutto, sa di già visto.
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