Prisoners, la recensione

Il regista canadese Denis Villeneuve, candidato all’Oscar per il miglior film straniero nel 2011 per La donna che canta, debutta a Hollywood con l’intenso thriller Prisoners, una storia potente e ad alta tensione sulla rabbia, la sete di vendetta e i limiti che questa dovrebbe conoscere.
La pellicola si avvale di un cast stellare, a cominciare da Hugh Jackman che, dopo aver legato con successo il proprio nome all’X-Man Wolverine e dato maestosamente corpo al personaggio letterario Jean Valjean, stavolta veste gli insoliti panni di ‘uomo qualunque’.
Un uomo pur sempre irascibile, appassionato e incline alla violenza, ma anche un marito innamorato e un genitore affettuoso.
Keller Dover, il personaggio di Jackman, è infatti un tranquillo padre di famiglia, timorato di Dio, con l’hobby della caccia. Quando i Dover sono invitati a trascorrere il giorno del Ringraziamento a casa dei Birch, loro vecchi amici, tutto sembra procede per il meglio in una tranquilla giornata di festa come tante. Ma improvvisamente, nel pomeriggio, le loro figlie minori, Anna Dover e Joy Birch, spariscono nel nulla. Chi le ha prese? Perché?
Il detective Loki (Jake Gyllenhall), incaricato di occuparsi del caso, da avvio a un’indagine serrata ma Keller, non convinto dell’efficacia dei suoi metodi, deciderà di provare a farsi giustizia da sé…

Le grandiose interpretazioni dei già citati protagonisti – cui si aggiungano quelle di Viola Davis, Melissa Leo e Paul Dano – fanno sì che gli spettatori di Prisoners non sentano affatto il peso dei 150 minuti di durata complessiva.
Le coinvolgenti vicissitudini dei personaggi – famiglie tradizionali e di sani principi che usciranno dall’incubo completamente cambiati e sconvolti dalla paura e dalla disperazione – rappresentano certamente il maggior pregio del lungometraggio.
Menzione speciale per Paul Dano, straordinariamente ambiguo nei panni di un giovane inquietante e misterioso, accusato del rapimento delle bambine, ma restio a collaborare con la giustizia (e destinato a pagarla cara, per questo). L’evoluzione di ciascuno dei protagonisti segue un iter coerente e compiuto ma non per questo prevedibile, in linea con l’accattivante intuizione di mostrare persone innocue e ordinarie costrette a misurarsi con la più terribile delle tragedie: la scomparsa di un figlio. Le reazioni di Keller Dover – sempre più violente e fuori controllo di fronte all’incompetenza, ai suoi occhi, delle forze dell’ordine – e lo scivolare, suo malgrado, dal ruolo di vittima a quello di carnefice e viceversa, ne sono un esempio lampante.
Il soggetto richiama vagamente alla memoria quel Gone Baby Gone che, nel 2007, segnò l’esordio alla regia si Ben Affleck. Anche in quel caso, al centro dell’impianto narrativo, si trovava la sparizione nel nulla di una bambina e alla sorprendente risoluzione dell’enigma si giungeva attraverso un intreccio discretamente orchestrato e originali colpi di scena.

Jake Gyllenhaal e Hugh Jackman in Prisoners

Jake Gyllenhaal e Hugh Jackman in Prisoners

La regia elegante e accurata di Villeneuve, dal canto suo, cattura il suo spettatore, tenendolo col fiato sospeso. Tuttavia, a fronte di tanto rigore nei particolari e di una fotografia cupa e suggestiva, il grosso difetto di Prisoners è da rintracciarsi nella sceneggiatura. Lo script di Aaron Guzikowski inciampa spesso e volentieri in una serie di tempi morti e focus su elementi cui, a onor del vero, sarebbe stato opportuno conferire meno spazio. Va bene mantenere alta la soglia dell’attenzione e svelare a poco a poco misteri e colpi di scena, ma tirarla tanto per le lunghe, in definitiva, non fa che confondere le idee al pubblico e rendere la fruizione faticosa e la ricezione lacunosa e imprecisa. A peggiorare le cose, uno scioglimento macchinoso e contorto, non così acuto e accattivante come quello che dovrebbe coronare ogni thriller che si rispetti.

Il ruolo di Jake Gyllenhaal, al contrario, con tutte le complesse sfaccettature e il bagaglio emotivo che il personaggio porta con sé, avrebbe meritato maggiore spazio nell’economia del racconto. Poco o nulla sappiamo, ad esempio, del suo background, che sicuramente sarebbe stato interessante approfondire.

Prisoners, in conclusione, solleva con efficacia temi importanti e ingombranti questioni morali, cui tuttavia non pretende di trovare una risposta, limitandosi piuttosto a mostrare con efficacia il tortuoso labirinto che è l’animo umano, devoto a Dio ma disposto a macchiarsi di qualunque peccato e abuso se minacciato negli affetti. Purtroppo, però, la scrittura arzigogolata – apparentemente scorrevole ma di fatto priva di coesione e organicità – penalizza fortemente il risultato finale.

Il film, distribuito da Warner Bros., arriverà nelle nostre sale il 7 novembre.

Chiara Carnà

PRO CONTRO
  • Le grandiose interpretazioni del cast.
  • La storia raccontata è coinvolgente.
  • La consistente durata del film non interferisce con la tensione, costantemente su un buon livello.
  • Regia e fotografia praticamente ineccepibili.
  • La sceneggiatura frammentaria e, in parte, lacunosa.
  • Qualche tempo morto di troppo.
  • Uno scioglimento non all’altezza del genere.
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Valutazione: 6.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Prisoners, la recensione, 6.0 out of 10 based on 1 rating

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