Prossima fermata: l’inferno, la recensione

Il fotografo Leon Kauffman è alla ricerca di un particolare soggetto che possa farlo entrare nelle grazie della talent scout Susan Hoff. Così, fotografando la vita notturna della città, Leon si imbatte in Mahogany, un taciturno macellaio che ogni notte sale su un vagone della metropolitana con la sua borsa degli attrezzi. Il fotografo comincia a convincersi che si celi proprio il macellaio dietro una serie di misteriose sparizioni che ormai da anni imperversano nei sotterranei della città e, spinto soprattutto dalla voglia di fotografare il suo sospettato in azione, comincia a seguire Mahogany. Purtroppo per lui, i sospetti di Leon sono fondati e ora la sua stessa vita e quella della sua ragazza Maya sono in pericolo. 

Malgrado la vasta opera letteraria di Clive Barker, sono pochi i romanzi e i racconti dello scrittore di Liverpool ad essere diventati film; ad esclusione, infatti, della gallina dalle uova d’oro chiamata Hellraiser, le creature barkeriane finite sul grande schermo si possono contare sulle dita di una mano. Compreso il potenziale insito nelle opere di Barker, la Lionsagate ha portato al cinema uno dei suoi racconti più celebri, Macelleria mobile di mezzanotte, contenuto in Infernalia, ovvero il primo dei ben noti Libri di sangue.

The Midnight Meat Train, che dai noi si è aggiudicato il goffo titolo Prossima fermata: l’inferno, ha avuto una genesi e una realtà distributiva un po’ travagliata. Dopo l’immediato abbandono in cabina di regia di Patrick Tatopoulos (Underworld: La ribellione di Lycans) il testimone è passato nelle mani del giapponese Ryuhei Kitamura, autore del cult action zombesco Versus e più recentemente del live action Lupin III, anche se alcune voci infondate e un po’ maligne affermano che lo stesso Clive Barker abbia messo lo zampino in sede di regia, visto che ha seguito personalmente l’intera produzione del film.

Prossima fermata: l’inferno ha goduto di poca visibilità nelle sale statunitensi, finendo in fretta sugli scaffali dei videostore, sorte che è toccata direttamente per il mercato italiano e che ha indispettito non poco Barker. In effetti dispiace vedere ghettizzato dagli stessi realizzatori un film di buona fattura come questo, capace di catturare l’attenzione dello spettatore grazie ad una storia originale e un notevole numero di scene dal grande impatto.

Infatti, il plot segue la classica discesa all’inferno di un essere umano che, come l’horror ci ha abituato, non è solamente metaforica, ma lo fa con un piglio di originalità che discosta questo film dal canonico filone satanico.

Questa volta ci troviamo nei paraggi del thriller seriakilleristico – ma è difficile etichettare con precisione questo film –, con tanto di efferato e imprendibile assassino che macella le sue vittime con la stessa bruta naturalità con cui fa a pezzi i quarti di bue nella ditta di macelleria bovina in cui lavora. Ma la cosa insolita è soprattutto il luogo in cui agisce il nostro mastodontico pluriomicida: i vagoni della metropolitana! Mahogany attende con pazienza forrestgumpiana (e infatti una battuta del film allude proprio al celebre personaggio interpretato da Tom Hanks) che i vagoni siano quasi vuoti e poi comincia il massacro, usando poi gli appigli superiori dei vagoni come protuberanze su cui appendere le sue prede e lavorarle, proprio come si fa in macelleria.

Dà volto e corpo allo psicopatico l’inglese Vinnie Jones (X-men: Conflitto finale; Snatch), che incarna alla perfezione l’insensibile e granitico Mahogany, un “cattivo” strano nella sua misteriosa meccanicità e allo stesso tempo familiare allo spettatore per la sua possenza fisica, caratteristica appartenente a molti famosi serial killer del grande schermo.

L’ottima prova di Jones non è però replicata dal protagonista della vicenda, un Bradley Cooper non troppo convincente nel ruolo del fotografo Leon. Il problema non è propriamente nella recitazione di Cooper, ma nella mancanza di aderenza al personaggio a cui non riesce a donare quel tocco di morbosità allucinatoria che acquista nella seconda metà della vicenda. Già perché oltre una caccia al serial killer, Prossima fermata: l’inferno è anche una sorta di noir intimistico che strizza l’occhio ad Angel Heart – Ascensore per l’Inferno di Alan Parker e alla classica mitologia barkeriana: Leon da curioso e ambizioso diventa schiavo della perversione e ossessionato dalla verità, trasforma la sua aria da bravo ragazzo in putrida essenza da tossicomane – pur non facendo uso di droghe – e di questo cambiamento diventano diretti protagonisti anche la sua ragazza (interpretata da Leslie Bibb) e il suo migliore amico (un Roger Bart sprecato). Naturalmente l’evoluzione della storia non risparmia sorprese che con un po’ di fantasia si potrebbero prevedere.

La sceneggiatura di Jeff Buhler (il remake di Pet Sematary e The Prodigy – Il figlio del Male) a tratti scricchiola, lasciando intravedere qualche buco qua e là, e ha l’effetto di lasciare alcuni dubbi allo spettatore; inoltre, lo svilupparsi della vicenda, nella parte centrale soprattutto, sembra inutilmente tirato per le lunghe, appesantendo un pochino la visione.

Nulla di grave, comunque, dal momento che Prossima fermata: l’inferno ha tanti pregi che riescono a far rimanere in ombra i difetti. Alla già citata bontà della storia e all’ottima interpretazione di Vinnie Jones, va aggiunta la bella regia di Kitamura che, memore del suo passato, ci offre una serie di trovate virtuosistiche nella messa in scena degli omicidi che hanno davvero dell’esaltante, alternati ad altri momenti di calma e meticolosità per i dettagli che donano un risultato complessivo originale e gradevole. Da menzionare anche l’ottima fotografia di Jonathan Sela, che accosta con funzionalità gli ambienti bui e sporchi del sottobosco metropolitano all’asetticità delle luci al neon che illuminano i vagoni della metro.

Altra caratteristica positiva di questo film è l’estrema brutalità di alcune scene, a tratti davvero disturbanti, e l’abbondanza – quasi eccessiva – di spargimenti di sangue, a volte però realizzati con la computer graphic che in un paio di scene può anche risultare intrusiva.

Un gran bel film, dunque, portatore di evidenti difetti sicuramente evitabili ma anche di molti pregi che ne fanno un prodotto da recuperare assolutamente.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Originale e marcio.
  • Vinnie Jones è davvero un ottimo villain!
  • La regia virtuosistica.
  • I brutali spargimenti di sangue.
  • Qualche punto morto nella parte centrale.
  • Bradley Cooper non centra il personaggio.
  • Alcuni vfx nati già vecchi.
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