Quanto basta, la recensione

Arturo (Vinicio Marchioni), chef pluristellato, dopo esser finito dentro per rissa, si trova a dover scontare la pena ai servizi sociali tenendo un corso di cucina, in un centro per ragazzi autistici. Lì conosce la psicologa dell’Istituto, Anna (Valeria Solarino) e Guido (Luigi Fedele), giovane affetto dalla sindrome di Asperger con una grande passione per la cucina.

Quanto Basta, con la regia di Francesco Falaschi, arriva in sala dal 5 aprile, dopo il passaggio in anteprima alla decima edizione del festival torinese CineAutismo. Davanti alla cinepresa di Falaschi ci sono Vinicio Marchioni (Arturo), Valeria Solarino (Anna), Alessandro Haber e il giovane Luigi Fedele nei panni di Guido.  Il personaggio di Anna e l’istituto di formazione diventano anelli di congiunzione tra due persone con problematiche, apparentemente distanti, che man mano si ritrovano ad essere dipendenti l’una dall’altra.

Quella raccontata, con i toni della commedia, è una storia di amicizia, tra Guido e Arturo, che affronta tematiche difficili con grande delicatezza. Una garbata storia che parla di amore, terapia e fornelli. «L’idea del film nasce dalla lettura di alcuni libri sul backstage del mondo culinario – racconta Falaschi, durante la conferenza stampa alla Casa del Cinema di Roma – poi abbiamo incontrato alcune realtà come Autismo in cucina a Prato e l’associazione Not Equal a Roma che hanno materializzato l’incontro tra la neurodiversità dell’Asperger ed i cosiddetti normali. Abbiamo conosciuto tanti ragazzi che vivono questa condizione, alcuni dei quali hanno anche recitato nel film. Dopo averli visti lavorare realmente in cucina, tutto è diventato più naturale, per me e gli attori».

Notorious Pictures, Verdeoro, Rai Cinema, Tc Filmes e Gullane con la Toscana Film Commission in collaborazione con il Touring Club Italiano, presentano un’opera strettamente legata al territorio, oltre che alla tematica trattata. Ambientato per lo più in Toscana, ne restituisce toni e colori caratteristici, mai edulcorati o stereotipati. La pellicola presenta una regione vera e bellissima, in tutte le sue sfaccettature.

Cucina e sfide culinarie, fanno da sfondo ad un racconto, in cui le diversità (che sia una sindrome o il carattere di un personaggio), vengono affrontate e superate senza retorica, pietismo o ipocrisia. Luigi Fedele nell’interpretare Guido, ruolo non facile, non sbaglia un passaggio e resta incredibilmente in parte per tutto il film: «è stata una profonda esperienza di studio – racconta l’attore – ho iniziato partendo dall’esteriorità del personaggio, dal suo linguaggio, i movimenti del corpo e solo in un secondo momento, dopo aver conosciuto alcuni ragazzi con Asperger, ho spostato la mia ricerca sull’interiorità, ricavando tante emozioni e questa è stata la parte più toccante del mio lavoro».

Come si suol dire: tutto va bene, purché se ne parli! L’importante non è come, dove e quando, ma che se ne parli in generale, in modo che queste tematiche siano sempre presenti. Il cinema ha dimostrato molto spesso di saper trattare il tema dell’autismo, a volte centrando il segno e raccontando al meglio il tipo di sindrome e a volte, purtroppo, facendo di tutta l’erba un fascio. Nel caso di Quanto Basta la sceneggiatura non spicca per originalità e lampi di genio. La regia idem. Si limitano entrambe a percorrere strade trite e ritrite. Il limite si fa notare durante la visione. Perciò è necessario fare uno sforzo, sorvolare sulle pecche di narrazione e sposare l’idea che: l’importante è che se ne parli! Riuscendo a fare questo piccolo sforzo, emerge immediatamente la capacità di approcciarsi ad un tema, ad una storia e a personaggi, amalgamati insieme con equilibrio.

Falaschi, più come un cuoco di trattoria che offre sapori genuini che come uno chef spocchioso e sofisticato (punto di merito per lui!), serve allo spettatore un film che diventa parafrasi di una ricetta equilibrata, mantecata con attenzione come un buon risotto, dove serietà, ironia, rispetto e garbo sono ingredienti dosati sapientemente q.b., proprio come si legge nelle ricette.

«Ho scelto di affrontare questo specifico aspetto – dichiara il toscano Falaschi – perché spesso chi ne soffre è troppo normale per essere considerato “malato”, ma non abbastanza “normale” da poter essere facilmente inserito nella vita lavorativa e sociale. Ci sono molte persone in questa condizione di limbo che può scivolare da una parte o dall’altra, a seconda di quali e quanti condizionamenti esterni interagiscono nella formazione della personalità o per l’approccio terapeutico con cui si affronta il disturbo».

Questa modalità di visione dona al racconto e agli interpreti stessi, umanità e autoironia, elementi fondamentali che eludono la facile via dello stereotipo che prevale quando si parla di malattia. Il film riesce nell’intento di veicolare un messaggio di inclusione e stimola una riflessione sulla labilità del confine tra chi è “normale” e chi non è ritenuto tale, tra chi ha bisogno di aiuto e sostegno e chi, in teoria, questo aiuto lo dovrebbe dare. Arturo tratta Guido senza filtri, senza pietismo, alla pari. Di fronte alla neurodiversità del ragazzo tende, a poco a poco, a mutare il proprio comportamento e a ridefinirsi.

La sindrome di Asperger propone un interessante aspetto metaforico e universale: alcune delle criticità che la caratterizzano, come la difficoltà ad entrare in empatia con gli altri, la fatica nel capire le convenzioni sociali e le regole non scritte, sono comuni ai due protagonisti e a tutti i “neurotipici”, cioè i non appartenenti allo spettro autistico.

Quanto Basta, che in futuro verrà proiettato anche nelle scuole, è un feel good movie, pieno di grazia, come lo definisce Vinicio Marchioni, che fa sorridere, riflettere e commuovere e che non ha paura delle emozioni e dei sentimenti positivi. Al contempo ha il pregio di rappresentare dignitosamente la tradizione della cinematografia italiana toccando temi impegnati e capaci di far riflettere, con ironia. Il tutto, q.b….per risultare un film non indimenticabile, ma piacevole!

Ilaria Berlingeri

PRO CONTRO
Buone le performance di Haber e Fedele.

Il tema trattato con grazia e delicatezza.

La banalità di alcuni passaggi della sceneggiatura.

I dialoghi a tratti troppo scontati.

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