Raccontami di un giorno perfetto: come incorniciare bene una trama coi buchi

Raccontami di un giorno perfetto (All the Good Places) è il romanzo di Jennifer Niven che nel 2015 vinse il Goodreads Awards (premio popolare più influente del web) e tanti altri, anche in Italia, come romanzo young adult dell’anno. La Niven è stata tuttavia accusata di aver “romanticizzato” le malattie mentali e al tempo stesso di aver caratterizzato i suoi protagonisti in maniera grossolana (Ilenia Zodiaco e Matteo Fumagalli docet); questo non ha comunque fermato la piattaforma più famosa al mondo (si, parliamo di Netflix…) dal produrre un film omonimo con la regia di Brett Haley (Nei miei sogni, No Limits, Barmaids) e rilasciarlo il 28 febbraio 2020.

Theodore Finch (Justice Smith) è lo “strambo” di una liceo dell’Indiana che una mattina presto si alza per andare a correre e vede una ragazza,  Violet Markey (Elle Fanning), in piedi sul ciglio di un ponte, probabilmente intenzionata a buttarsi di sotto; il ragazzo, grazie alla sua verve istrionica, riesce a farle cambiare proposito e pochi giorni dopo i due si ritrovano compagni di classe nel corso di geografia, dove Finch si proporrà come suo collega per una ricerca assegnata dal professore.

Raccontami di un giorno perfetto

Facendo delle indagini il nostro protagonista verrà a sapere che Violet perse la sorella in un incidente stradale e che proprio il giorno in cui si sono incontrati ricorreva l’anniversario della morte; il giovane comprende dunque il motivo per cui la ragazza sia così schiva e abbia un categorico rifiuto a salire su una macchina. Sfruttando il compito assegnato dal docente, Finch riesce a convincere Violet a uscire di casa e andare a visitare i posti più caratteristici del loro stato; grazie alla sua eccentrica esuberanza Violet si riaprirà pian piano alla vita ma, più lei comincerà a guarire e più usciranno fuori i demoni interiori del ragazzo.

Non è infatti un caso che Finch sia chiamato “lo schizzato/lo strambo” dalla scuola intera, poiché Violet si era trasferita da un altro stato dopo la morte della sorella, non conosceva del tutto il passato del suo “cavaliere dall’armatura scintillante” e soprattutto i “momenti di buio” che ogni tanto lo catturano.

Raccontami di un giorno perfetto

Metaforicamente potremo dire che l’arco narrativo, come qualsiasi arco, è diviso in una parte “ascendente” e una parte “discendente”: nella prima la pellicola procede in maniera limpida, anche se lenta, con dialoghi calzanti e una logica abbastanza lineare; nella seconda parte invece il personaggio di Finch diventa un po’ out of character  – non si capisce come sia possibile che la stessa persona che ha aiutato la “donzella in pericolo” a uscire dalla fase depressiva poi non riesca a badare a sé stesso – e la trama “precipita” velocemente verso un epilogo troppo affrettato.

Nonostante nella stesura della sceneggiatura la Niven sia stata affiancata da Liz Hannah (The Dropout, Mindhunter, The Post) permangono quei buchi di trama che avevano leso il seppur positivo messaggio del romanzo: è deducibile fin da subito che Finch soffra di un disturbo non meglio specificato (Disturbo bipolare? Disturbo bordeline di personalità? Disturbo antisociale di personalità?) ma le cause scatenanti nella seconda parte dell’intreccio narrativo sono poco plausibili ma soprattutto: dove sono gli adulti? Così come avveniva nel romanzo, lo spettatore/lettore si chiede se lo psicologo che cura il protagonista si sia laureato “all’università della vita” e abbia preso l’abilitazione “presso sé stesso” e che tutti gli altri docenti/adulti/parenti siano sordociechi. Dato che la produzione è riuscita a levare a Finch quell’aura da santone maledetto/radical chic che i critici del romanzo avevano (giustamente) descritto come pericolosa e fuorviante, non si spiega l’esplosione della sua nevrosi, per non parlare del fatto che il momento di spannung è comunque brevissimo.

Raccontami di un giorno perfetto

Tirando le somme, il ritmo rimane comunque piatto: nella prima parte si succedono scenette quasi idilliache che potrebbero essere interscambiabili o non necessarie e poi nella seconda parte ci sono fragili picchi di suspence che si spengono subito e non sconvolgono il lettore se non grazie all’espressività degli attori.

I film viene salvato proprio dal cast: Justice Smith (Detective Pikachu, Jurassic World, Ogni Giorno) ha dimostrato che passare da film action a film affrettati non è per forza un’esperienza dannosa, la sua recitazione dinamica al punto giusto ha dato al personaggio di Finch una credibilità migliore di quanto non abbia fatto lo screenplay e l’ascendente Elle Fanning (Maleficent, Un giorno di pioggia a New York, The Neon Demon) ha dato forma a un personaggio che riesce credibilmente a spaziare dalla depressione alla determinazione.

La luce e la scenografia degli spazi aperti cercano un po’ di riprodurre a quell’atmosfera di spensieratezza fra un momento di dolore e l’altro che la “Scuola John Green” ha ormai imposto fra i cliché del genere young adult; la morale della storia non basta più e si spera che il canovaccio dei film degli ultimi sei anni possa cominciare a cambiare.

Ilaria Condemi de Felice

PRO CONTRO
  • Buona recitazione dei protagonisti.
  • Buchi di trama.
  • Approssimazione nella trattazione della malattia del protagonista maschile.
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