Rachel, la recensione

Nei primi anni dell’Ottocento, in Cornovaglia, il ventenne Philip viene raggiunto dalla notizia che suo cugino Ambrose è gravemente ammalato. Philip è rimasto orfano da bambino e Ambrose gli ha fatto praticamente da padre, prima di partire per l’Italia e sposare Rachel. Preoccupato per il parente, Philip raggiunge la sua casa a Firenze, dove scopre che Ambrose è morto e sospetta che la responsabile sia proprio la schiva Rachel. Tornato in Cornovaglia, il ragazzo si vede presto piombare in casa proprio la moglie di suo cugino, rimasta senza alcun avere, e nel vederla si propone di ospitarla. Ma col passare dei giorni, Philip comincia a cambiare il suo parere su Rachel, anzi si infatua di lei e decide di farla rimanere nella sua tenuta, anche contro il parere del suo avvocato.

Questa, in poche righe, la trama di Rachel, period drama dalle tinte lugubri che traspone per immagini il romanzo di Daphne du Maurier Mia cugina Rachele (1951). Ma non è la prima volta che l’opera in questione arriva sul grande schermo, dal momento che nel 1952 era già stato realizzato un film per la regia di Henry Koster. Sappiamo che se c’è di mezzo il nome della du Maurier sicuramente non siamo nei territori del canonico melò in costume e infatti l’autrice inglese tanto cara a Hitchcock, artefice delle versioni letterarie di Rebecca – La prima moglie e Gli uccelli, contamina quella che a un primo sguardo potrebbe apparire come un’opera alla Jane Austen con suggestioni da thriller ed elementi morbosi, che la indirizzano più dalle parti di Edgar Allan Poe.

A differenza di Henry Koster, che nel suo film con Richard Burton aveva seguito i rigorosi dettami del cinema gotico che era in voga in quegli anni, il sudafricano Roger Michell scrive e dirige un’opera meno stilizzata e paradossalmente vicina proprio a quel gusto melò con cui la du Maurier giocava alla negazione. Rachel non è fatto di luci e ombre, ma di sospiri e sguardi languidi, portandoci nella testa del ventenne Philip, infatuato di una donna più grande di lui che aveva idealizzato come “nemico”. Seppur sia credibile a posteriori il comportamento di Philip in quanto giovane alle prese con la prima cotta, nel film non si riesce a percepire con coerenza il passaggio che avviene nel giovane, da agguerrito giustiziere a succube di Rachel. Dunque, la fase dell’innamoramento ha bisogno della necessaria sospensione dell’incredulità spettatoriale, così come quell’ambiguità che ammanta il personaggio della presunta “vedova nera”. Rachel è una subdola assassina che avvelena i suoi ricchi amanti per ereditarne le ingenti fortune oppure una sfortunata ragazza con la passione per tisane dagli ignoti ingredienti?

Il racconto gioca tutto il tempo su questo dato misterioso, ma il regista di Notting Hill sceglie un tono che non da enfasi a questo elemento, costantemente subordinato ai tormenti amorosi del giovane protagonista.

Non convincono fino in fondo neanche gli attori scelti a dar volto a dei personaggi così stratificati. Il bravo Sam Claflin, che conosciamo per Hunger Games e il romantico Io prima di te, trascina con se un’immagine che poco si lega al personaggio di un ventenne al primo innamoramento, facendo decadere il gioco dei ruoli che ci si aspetterebbe; anche l’altrettanto brava Rachel Weisz è troppo poco seducente per il ruolo e nonostante la reale età dell’attrice, appare anche troppo giovane per impersonare Rachel, quasi una coetanea di Sam Claflin/Philip.

Un altro difetto proprio al film di Michell sta nel finale… un chiarissimo esempio di “finale a coda di sorcio”, che arriva così all’improvviso senza che sia stata prima costruita la giusta enfasi narrativa che conduca a quel tipo di epilogo.

Rachel lascia, dunque, l’amaro in bocca. Una indiscutibile perizia nella messa in scena e nella ricostruzione storica non coincide con una fermezza di intenti e sembra quasi che Roger Michell abbia frainteso l’opera della du Maurier. Forse è voluto il suo tradimento, ma così facendo viene tradito anche lo spettatore che va a vedere Rachel.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Una innegabile perizia nella messa in scena, con scenografie e costumi di gran pregio.
  • Lo strato di thriller che la vicenda chiedeva passa troppo in secondo piano in confronto ai tormenti amorosi del protagonista.
  • I due attori protagonisti, per quanto bravi, sembrano inadatti a ricoprire i ruoli.
  • Finale cinematograficamente poco efficace.
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Valutazione: 5.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Rachel, la recensione, 5.0 out of 10 based on 1 rating

One Response to Rachel, la recensione

  1. Flore ha detto:

    Bel film ma finale deludente. Avrei preferito avere la certezza che Rachele è una subdola assassina.

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