Resident Evil: Welcome to Raccoon City, la recensione

È stato lo stesso regista e sceneggiatore Johannes Roberts a dichiarare a IGN che il vero slancio creativo per dar vita a Resident Evil: Welcome to Raccoon City è stato il remake videoludico di Resident Evil 2 uscito su console a inizio 2019. È dal 2017, infatti, che la Constantine Films ha messo in cantiere un reboot cinematografico della saga di Resident Evil, subito dopo la conclusione della “creativa” storyline costruita da Paul W.S. Anderson con i sei film interpretati da Milla Jovovich.

Inizialmente la Atomic Monster di James Wan si era interessata al progetto, ma con l’entrata in scena dell’inglese Johannes Roberts, talentuoso autore di chicche di tensione come The Other Side of the Door, 47 metri e The Strangers – Prey at Night, il regista di The Conjuring e Malignant è uscito di scena. Ma sia il “vecchio” progetto che vedeva coinvolto Wan che il nuovo corso guidato da Roberts hanno sempre avuto un obiettivo comune: il nuovo film di Resident Evil deve essere un VERO Resident Evil e ispirarsi direttamente ai videogame!

È così è stato.

Archiviata l’esperienza action/cafona sviluppata da Paul W.S. Anderson, che ha avuto comunque i suoi fan nonostante con i videogame della Capcom condividesse poco e niente, Resident Evil: Welcome to Raccoon City si prefigge di essere fedele quanto più possibile a storia, personaggi e atmosfere dei primi due videogame dando ai fan quello che i fan volevano. Ma questo può bastare per fare un buon film?

È una domanda retorica, ovviamente.

Al di là delle buone intenzioni, apprezzabilissime, Resident Evil: Welcome to Raccoon City dimentica, in primis, di essere un film che deve parlare a un pubblico che non stringe tra le mani un joypad e così la prima cosa che si nota è una particolare sgangheratezza narrativa con una sceneggiatura che pesca eventi, personaggi e situazioni dai videogame ma non riesce a legarli e svilupparli a dovere per farne un buon film.

Resident Evil: Welcome to Raccoon City si ambienta nel 1998, dopo un prologo negli anni ‘80 che ci mostra i due fratelli orfani Chris e Claire Redfield nell’orfanotrofio cittadino accuditi dal dott. William Birkin e il suo staff, dipendenti dell’industria farmaceutica Umbrella Corporation, vero fulcro di tutta Raccoon City. Dall’epoca, Claire e Chris si sono persi di vista: lei è andata via dalla città mentre lui è entrato nel corpo di polizia e poi messo a capo di una squadra tattica speciale, la S.T.A.R.S. Il ritorno a Raccoon City di Claire coincide con un misterioso incidente che ha coinvolto Villa Spencer, antica magione cittadina che ospita, nei suoi sotterranei, i laboratori della Umbrella. Una prima squadra è stata mandata sul luogo, ma si sono persi tutti i contatti, così viene mandata a Villa Spencer una seconda squadra di soccorso capitanata da Chris Redfield e composta anche da Jill Valentine, Albert Wesker e Brad Vickers. Nel frattempo, arriva in città anche la recluta Leon S. Kennedy, spedito lì dal padre poliziotto come “punizione” per un incidente causato durante il periodo di addestramento in polizia.

Già solo leggendo la sinossi, se siete un minimo pratici dell’originale videoludico, capirete che sono state fuse le trame di Resident Evil e Resident Evil 2, a cui sono stati adeguatamente aggiunte strizzate d’occhio a Resident Evil 3, Resident Evil: Code Veronica e una importante backstory di Resident Evil: Rebirth ovvero il remake Nintendo del primo gioco. Troppo, a conti fatti, per essere racchiuso in 107 minuti di film, con il risultato che la scena è affollata di eventi e personaggi. E questo non fa bene al film perché gran parte dei personaggi, anche importanti, è privo di una caratterizzazione (Jill Valentine, ad esempio) o di uno sviluppo (Chris Redfield). Ma anche lo stesso intreccio appare leggermente confuso e se è lodevole come sono stati fusi gli eventi dei primi due videogiochi per crearne un’unica storia, alcuni dettagli comunque fondamentali come gli esperimenti della Umbrella, i virus T e G, il piano di Wesker e lo stesso disastro biologico causato dalla Umbrella Corp. non sono chiari e ben spiegati lasciando lo spettatore un po’ spaesato nel seguire questo manipolo di personaggi che si difende da mostri di ogni tipo.

C’è da dire, però, che Johannes Roberts dimostra di conoscere davvero molto bene il materiale d’origine e cerca di trasmetterlo in tutti i modi nel film: Villa Spencer, la stazione di polizia e il suo parcheggio sotterraneo, l’orfanotrofio, il bosco di Arklay… tutto è riproposto in maniera dettagliata e maniacale proprio come lo abbiamo visto nei videogiochi. Poi ci sono alcuni simpatici dettagli come le chiavi con i semi delle carte da poker, doberman e corvi zombi, un licker, riferimenti verbali a eventi e creature dei videogame (che non vediamo in scena), le mutazioni/evoluzioni così come le conosciamo e alcune sequenze topiche riproposte in maniera identica a quelle dei videogiochi (l’incidente del camion, l’incontro con il primo zombi a Villa Spencer e via dicendo). Ma soprattutto c’è l’atmosfera giusta, opprimete e inquietante, con spaventi ben dosati, mostri e la violenza grafica che ci si aspetterebbe da un vero Resident Evil.

Il cast del film è molto variegato e abbastanza bizzarro perché, nonostante la maniacale fedeltà ai materiali originali, mostra delle vistose variazioni nell’etnia di due personaggi: Leon è interpretato dall’attore di origini indiane Avan Jogia e Jill è interpretata da Hannah John-Kamen di Ant-Man and the Wasp e Tomb Raider. Per il resto troviamo l’ottima Kaya Scodelario (Crawl – Intrappolati e Pirati dei Caraibi – La vedetta di Salazar) nel ruolo di Claire, Robbie Amell (i due capitoli della saga horror La babysitter) in quello di Chris, Tom Hopper di Umbrella Academy nei panni di Albert Wesker e Neal McDonough in quelli di William Birkin.

Dunque, la maledizione delle trasposizioni cinematografiche di noti videogame continua anche con questo nuovo Resident Evil che risulta assolutamente squilibrato da un punto di vista filmico: alcune cose molto buone si compensano con altre pessime scelte dando vita a un prodotto che rischia di essere un “giocattolino” a uso e consumo esclusivo dei fan di vecchia data dei videogames che non abbiano troppe pretese da un film dell’orrore.

Apprezziamo l’impegno e la volontà di rendere giustizia a un brand magnifico, ma ancora siamo lontani del risultato che avremmo sperato.

Non alzatevi subito dalla poltrona, c’è una scena mid-credits.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Fedeltà al videogioco con atmosfere, eventi e personaggi che arrivano direttamente da quel mondo lì.
  • Una costruzione da film horror che mostra tutta la competenza in materia del regista Johannes Roberts.
  • Da un punto di vista narrativo è un mezzo disastro: troppo affollato di eventi e personaggi che non hanno una caratterizzazione e uno sviluppo.
  • Per chi non ha dimestichezza con i videogames potrebbe perfino essere difficoltoso seguire bene la storia.
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