Roma 2015. The Whispering Star

In un futuro non meglio precisato, l’umanità si è ridotta drasticamente: la maggior parte della popolazione è costituita da robot, come Machine ID 722 Yoko Suzuki, la protagonista di The Whispering Star. Yoko viaggia a bordo di una navicella spaziale dai dettagli retrò, con l’unica compagnia della propria voce registrata su un vecchio mangianastri e quella del computer di bordo 6-7 MAH Em. Il suo lavoro consiste nel consegnare pacchi ai pochi umani rimasti, sparpagliati qua e là in tutti i sistemi solari della galassia: sebbene questo compito le appaia talvolta misterioso, continua a svolgerlo con ineccepibile cura e diligenza, destreggiandosi tra incidenti di percorso e incontri inaspettati.

Shion Sono, regista giapponese dalla personalità eclettica, reinterpreta in chiave distopica e sci-fi la tragedia di Fukushima: scelta condivisibile, in quanto il ricordo di questa catastrofe è ancora troppo vivido per essere raccontato senza necessarie prese di distanza. Considerandolo da questo punto di vista, The Whispering Star poteva essere una novità interessante quanto una rispettosa testimonianza; peccato che si perda nella sua natura sperimentale, snaturando l’importanza della vicenda narrata.

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Le scene iniziali del film mostrano perlopiù le attività quotidiane di Yoko Suzuki nella propria navicella; ma il regista, più che “mostrare”, mette in atto un processo che porta lo spettatore ad una rapida esasperazione. Le azioni compiute da Yoko sono ripetute in più di una scena fino all’eccesso e la fruizione della trama non è resa più semplice dalla voce cantilenante del computer di bordo: esso è una sorta di erede ideale di HAL 9000, anche se la sua meschinità ha un tocco decisamente infantile e possiede una lampadina intermittente al posto di un inquietante occhio-spia rosso.

Il ritmo del film non è scandito solo dagli atti reiterati della protagonista e del computer, ma anche dall’utilizzo continuo di oggettive irreali (per sottolineare maggiormente la solitudine di Yoko) e dal ritorno incessante di un’immagine simbolica, ovvero le falene intrappolate nelle plafoniere della navicella. Questa suggestione ricompare anche nel finale, quando Yoko deve consegnare un pacco su un pianeta abitato interamente da esseri umani estremamente sensibili ai suoni: essi sono rappresentati come ombre alle spalle di una parete luminosa, quasi fossero figure proiettate da una lanterna magica (considerata, dopotutto, come diretta antenata della proiezione cinematografica). Sebbene questo parallelismo renda efficacemente l’atmosfera claustrofobica voluta da Sion Sono, di certo non contribuisce a rendere la pellicola meno indigesta allo spettatore.

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Il regista, di fatto, ha concepito The Whispering Star come un’unica, soffocante reiterazione affinché rappresentasse, astrattamente, le terribili condizioni in cui versano i sopravvissuti al disastro di Fukushima: espiantati dalle loro dimore, sono stati costretti a vivere in container (non a caso la navicella di Yoko vi assomiglia molto); per essi ogni giorno era tristemente uguale all’altro, e a poco a poco la routine diventava asfissiante. Fin qui, nulla da eccepire: ma non era assolutamente necessario esacerbare questa linea narrativa lungo tutto il film.

Ciò che si riesce a evincere, nonostante tutto, è la volontà dell’autore nel rimarcare l’importanza della memoria: quando la furia degli eventi si abbatte sugli inermi esseri umani e tutto viene spazzato via, i ricordi sono l’unica cosa a cui possono aggrapparsi; perciò Yoko consegna pacchi dal contenuto vintage, come cappelli di paglia o vecchie pellicole fotografiche. Nonostante non capisca perché gli umani non usino il teletrasporto per farsi spedire tali stranezze, essa li trasporta con grande attenzione, perfetto simbolo della tecnologia necessaria ma imprevedibilmente pericolosa (come quando arriva, dolce ma potenzialmente letale, sul pianeta degli esseri umani incapaci di sopportare rumori oltre i 30 decibel), come la centrale nucleare di Fukushima. Peccato che la potenza di questi messaggi si perda nella struttura “avanguardistica” del film, rendendolo freddo e piatto come il futuro distopico che ci propina.

Giulia Sinceri

PRO CONTRO
  • La potenza di alcuni messaggi di cui la pellicola si fa portatrice.

 

  • L’esasperante ripetitività delle scene e degli episodi contenuti nel film.
  • La struttura sperimentale del film svilisce l’importanza della vicenda narrata.
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