Lamb, la recensione

Cos’è la Felicità? La Felicità è stare insieme, completarsi, dare un senso alla propria vita attraverso la presenza di qualcun’altro. Ma la Felicità può nascere anche da uno strano evento che conduce in maniera un po’ grottesca a tutte le cose su elencate. Petur, il fratello “ribelle” di Ingvar, protagonista maschile di Lamb, riferendosi alla piccola Ada chiede <<ma cosa è quello?>> e si sente rispondere <<è la Felicità>>.

Presentato in anteprima mondiale nelle sezione Un certain regard del Festival de Cannes 2021 e, in seguito, al festival del cinema fantastico di Sitges e alla 19ª edizione di Alice nella città, Lamb è l’opera prima dell’islandese Valdimar Jóhannsson, uno che si è fatto le ossa nei reparti tecnici di grandi blockbuster hollywoodiani come Prometheus di Ridley Scott, Transformers 4 di Michael Bay, Rogue One: A Star Wars Story di Gareth Edwards. Ed è singolare che un addetto agli effetti visivi di film così maestosi esordisca nel lungometraggio con un film intimo, minimalista e autoriale come Lamb.

Siamo nelle verdi e fredde distese rurali islandesi, qui, in mezzo al nulla, c’è la fattoria di Ingvar e Maria dove la coppia si occupa prevalentemente di allevare pecore. Una notte, una creatura non identificata, si intrufola nella stalla mettendo in agitazione gli ovini. Qualche tempo dopo, mentre Maria si premura di far partorire le sue pecore, si trova tra le mani un “dono” inaspettato: la testa e la zampina destra sono quelle di un agnellino, ma il corpo e il braccio sinistro sono quelli di una bambina! Maria non ha dubbi a portare in casa la creatura e allevarla come una figlia, chiamandola Ada, nonostante la mamma biologica appaia molto agitata da questa sottrazione. I mesi passano, Ada cresce, Maria e Ingvar sono una famiglia felice e anche lo zio Petur, ospite del fratello, sembra accettare la “nipotina” dopo un impatto iniziale dei non più felici. Ma quell’armonia sembra destinata a non durare a lungo…

Quella di Jóhannsson è senza ombra di dubbio una favola morale, un dramma rurale che parla di genitorialità mascherato da fantasy o, se vogliamo, da folk-horror. Infatti, è proprio al folklore islandese che il regista e sceneggiatore guarda per raccontare la storia di un ibrido metà uomo e metà animale, come è stracolmo nelle leggende del Nord Europa. Ma senza focalizzarsi in particolare su nessuna creatura della tradizione popolare, Jóhannsson dà vita a una creatura che riesce a catturare completamente l’attenzione e l’interesse dello spettatore. E su questa scelta di mostrare tutto il mostrabile c’è il primo grande azzardo del regista che decide di non lasciare nulla all’immaginazione, come avrebbero fatto sicuramente alcuni suoi colleghi se fossero stati alle prese con una storia di questo tipo, e chiede allo spettatore un grande sforzo per accettare una situazione così straordinaria ma raccontata con i toni dell’ordinarietà.

Jóhannsson, dunque, sceglie di puntare sul sense of wonder, anche se minimalista, e lascia da parte quel velo di inquietudine che invece si odorava dal bellissimo prologo e che, inevitabilmente, tornerà a manifestarsi nel terzo atto. Eppure, in Lamb si percepisce costantemente una opprimente sensazione di disagio che non è di certo causata dalla piccola Ada che, anzi, con il suo fare buffo trasmette molta tenerezza, ma dalla situazione contro-natura nel suo complesso. Questo disagio si legge negli occhi di mamma pecora che reclama con insistenza la sua creatura, dal suo belare incessante, dal suo tentativo di portar via il cucciolo; ma si percepisce anche nell’amore che Maria dà alla “bambina” proiettandolo al futuro, all’impossibilità per Ada di poter vivere tra gli umani ed essere accettata.

La profondità che avvolge Lamb è però intramezzata da una lunghissima parentesi che coincide con la permanenza di Petur, il fratello di Ingvar, nella fattoria. Lui è lo sguardo esterno alla vicenda, quello dello spettatore, che reagisce con stupore e ostilità alla presenza del mutante. Ma spinto probabilmente da un concept che si esauriva troppo presto, Jóhannsson decide di dilatare a dismisura questa parentesi facendone l’atto centrale del film e intessendo – in maniera molto superficiale – anche una storia di conflitto tra Maria e Petur, generata da un’attrazione sessuale non corrisposta. Questo è il maggior limite di Lamb, disperdere l’interesse del concept per dar spazio a una backstory poco interessante che dà la sensazione che si stia temporeggiando per far minutaggio.

Fortunatamente il finale arriva poderoso e spiazzante, accentuando ancor di più, se possibile, il senso del grottesco e restituendo a questa fiaba il suo originario carattere spaventoso.

Non potendo contare su una costruzione narrativa particolarmente forte, Jóhannsson punta molto sull’atmosfera rarefatta supportata dagli scenari della campagna islandese, con una luce perenne che avvolge la quotidianità dei protagonisti. Una quotidianità fatta di pochissime parole e molto incentrata sulla grande espressività degli interpreti, sia umani che animali, a cominciare da una magnifica Noomi Rapace.

Lamb è un oggetto molto curioso, palesemente non riuscito sotto diversi aspetti e schiavo di un high concept che non viene sviluppato a dovere, ma allo stesso tempo è un film affascinante, originale, audace. La classica opera che può piacere o meno ma di certo non lascia indifferenti.

Lamb arriverà nei cinema italiani il 31 marzo 2022 distribuito da Wanted Cinema.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Originale e affascinante.
  • La piccola Ada è tanto buffa quanto tenera.
  • Riesce a incutere un sottile senso di inquietudine.
  • Noomi Rapace bravissima.
  • Il film è diviso in tre capitoli e il secondo è chiaramente un dilatato per accumulare minutaggio.
  • Se volte risposte sappiate che da questo film non ne avrete.
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