Separation, la recensione

Tra le principali fonti di ispirazione per gli autori di horror di ogni epoca, sia scrittori che registi cinematografici, un posto di rilievo lo ha senza dubbio l’universo infantile, foriero di sentimenti forti e contrastanti, psicologie complesse e di incubi pregni di fantasia e creature dalle forme più disparate. Un insieme variegato e controverso che è stato declinato nei modi più inquietanti e creativi, con al centro la volontà comune di rappresentare la mente di bambini difficili e i contesti che li circondano. Abbiamo visto, dunque, bambini malefici, o tormentati da fantasmi per lo più rappresentazione del loro stato mentale, o addirittura posseduti da forze diaboliche che alterano la purezza e il candore dell’infanzia per trasformarla in un’età sensibile al male e alla morte.

La rappresentazione più comune e più carica di simbolismi, tuttavia, è quella legata alla demonizzazione dello strumento che più di ogni altro è vicino ai piccoli: i giocattoli e le bambole. Questi ultimi, infatti, hanno un potenziale evocativo ed orrorifico di enorme portata ben noto anche al regista statunitense William Brent Bell, il quale già con The Boy aveva utilizzato un bambolotto per raccontare una storia terrificante ed ansiogena.

Ma se in quel caso il film era incentrato su dinamiche tra la ghost story e lo slasher, con il suo nuovo lavoro, dal titolo Separation, l’autore vira su una storia che tocca la psiche infantile e che racconta come l’elaborazione di un lutto possa generare fantasmi, resi in questo caso con le sembianze di pupazzi e di personaggi dei fumetti, che condizionano la vita dei cari rimasti in vita.

Il colpo, però, questa volta resta in parte in canna perché il film si rivela riuscito solo per metà in quanto le premesse e lo sviluppo dell’intreccio che risultano efficaci nel suscitare emozioni e a coinvolgere chi guarda, non sono purtroppo supportate da un comparto visivo e una gestione della tensione non all’altezza dei precedenti lavori di Brent Bell.

Maggie, avvocato di successo, e Jeff, fumettista ancora alla ricerca della grande occasione per sbarcare il lunario, iniziano una dura e combattuta causa di separazione che ha come punto del contendere la custodia della loro figlioletta Jenny, una bambina molto fantasiosa e frizzante. La battaglia legale, però, termina quando la donna muore travolta da un’automobile e la bambina resta così a casa del padre. Il momento già difficile dei due viene amplificato dalla comparsa di fantasmi i quali, travestiti dai personaggi disegnati da Jeff, tormentano i due protagonisti e svelano verità clamorose ed inquietanti.

Nel corso della sua florida carriera William Brent Bell ha sempre dimostrato una particolare propensione ad esplorare i vari filoni dell’horror e a servirsi dei suoi stilemi per raccontare storie di personaggi alla ricerca di sé stessi e di un riscatto da un passato tormentato. Il regista americano, così, in questo suo nuovo film si cimenta in una ghost story in apparenza di stampo e fattura dozzinale, ma che a conti fatti mostra una volontà di scavare nel profondo dell’animo umano e di analizzare il dolore provocato dalla perdita di un parente caro, sia dal punto di vista di un adulto che di una bambina. Una narrazione ben messa in piedi da una sceneggiatura che riesce a tratteggiare al meglio sia i protagonisti, l’ingenuo e guascone Jeff e la piccola fantasiosa Jenny, sia i personaggi secondari che, come pedine di una scacchiera ordinata e studiata al meglio, appaiono sviluppati con cura e si muovono sulla scena in maniera funzionale e coerente.

Il risultato è una storia che emoziona, permette allo spettatore di immedesimarsi nel legame tra padre, figlia e la defunta mamma e regala lo spaccato di una famiglia come tante, debole ma legata da un amore che va aldilà della morte.

Tutto molto bello ed empatico, se non fosse per una messa in scena che, contrariamente all’ottimo lavoro in fase di scrittura, palesa evidenti limiti e si dimostra incapace di creare figure mostruose iconiche e in grado di generare quel genuino senso di paura e di terrore, tipico di storie di tale portata emotiva. Tra pupazzi belli da vedere ma fini a sé stessi nell’ottica di un racconto horror ed effetti speciali da film di serie b, infatti, Separation perde sempre più forza e consistenza con il passare dei minuti e si adagia su livelli di sufficienza risicata.

Un’autentica occasione persa per William Brent Bell il quale compie più di un passo indietro rispetto al passato e non riesce a compiere il definitivo salto di qualità della sua carriera.

Vincenzo de Divitiis

PRO CONTRO
  • I personaggi sono ben tratteggiati e molto empatici.
  • La storia è ben scritta ed emoziona.
  • Scarsa capacità di incutere tensione e paura.
  • Effetti speciali dozzinali e di qualità men che mediocre.
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Valutazione: 5.5/10 (su un totale di 2 voti)
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Separation, la recensione, 5.5 out of 10 based on 2 ratings

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