Smile, la recensione

La psicoterapeuta Rose Cotten assiste inerme al suicidio di una sua paziente che, prima di compiere l’estremo gesto, le rivela di essere perseguitata da una presenza malefica che prende le sembianze di persone a lei note, contraddistinte da un inquietante ghigno. Da quell’accaduto, anche Rose comincia ad essere vittima di episodi sempre più strani che sembrano coincidere con le allucinazioni descritte dalla sua paziente. In breve tempo, la vita di Rose si trasforma in un incubo, cominciano a riemergere i fantasmi di un passato traumatico che aveva cercato di dimenticare e si affaccia perfino l’ipotesi della malattia mentale. Ma la donna sta davvero impazzendo oppure la sinistra presenza ha scelto lei come sua nuova vittima?

Cosa c’è di meglio per inaugurare l’autunno cinematografico che un bell’horror a base di maledizioni e demoni spaventosi?  Quest’anno ci pensa l’esordiente Parker Finn che attinge a un suo cortometraggio di un paio di anni fa, Laura Hasn’t Slept, per costruirgli attorno un lungo dal titolo Smile, che nulla ha a che fare con l’omonimo horror di Francesco Gasperoni del 2009.

Il giovane Finn deve essere cresciuto a pane e supernatural-horror post 2000 perché il suo Smile appare come un centrifugato di trame, suggestioni e personaggi (stra)visti in circa un ventennio di cinema horror americano e non solo che danno vita a un prodotto che oggi ci appare fuori tempo massimo ma che si prepara a dar vita a una ideale nuova stagione di horror psicologici e, perché no, una saga.

Però mettiamo subito le mani avanti: Smile punta essenzialmente a un pubblico molto giovane che probabilmente non conosce i punti saldi da cui nasce questo film che, al contrario, può appare incredibilmente prevedibile e fin troppo già visto per uno spettatore minimamente navigato nel genere. Con una base che richiama prepotentemente The Ring (la maledizione che sopravvive trasmettendosi da persona in persona, i sette giorni di tempo per sopravvivere, l’indagine sul passato) e innesti importanti da It Follows (il Male che prende volti umani e segue la protagonista, un modo per “passare” la maledizione) con richiami più o meno evidenti ad altri horror di derivazione giapponese (The Grudge e The Call su tutti), Smile si protrae per due lunghissime ore inanellando situazioni e personaggi abbastanza standard per il cinema dell’orrore, a cominciare dalla protagonista.

Interpretata dalla figlia d’arte Sosie Bacon (figlia di Kevin, esatto!), la Rose Cotte attorno a cui ruota il film ha un importante trauma nel passato che da bambina l’ha resa testimone della morte della madre, affetta da una fortissima forma di depressione. Come il cinema americano giustamente (?) ci insegna, per dimenticare un trauma infantile Rose non fa altro che sottoporsi continuamente a storie simili alla sua e diventa una stimata psicoterapeuta che deve convivere con la paura che la depressione materna possa essere genetica. Da qui prende il via il gioco sulla realtà o meno degli eventi che accadono a Rose, se le terrificanti visioni siano frutto della sua discesa nella malattia o ci sia davvero una maledizione che nell’arco di una settimana può spingerla al suicidio.

Quest’ultima poteva essere la chiave di lettura più interessante, o almeno quella che poteva fare la differenza, ma Parker Finn non sembra troppo interessato al lato psicologico infarcendo Smile di ingombranti momenti horror votati al gratuito jump scare. Diciamo che spesso e volentieri l’atmosfera giusta c’è, quindi abbandonarsi alla logica del “bù” appare una trovata controproducente per la riuscita stessa di determinati momenti di paura.

Anche la durata di ben 115 minuti appare eccessiva per questo tipo di film che, di fatto, tende a una ridondanza negli eventi mostrati e raccontati tanto da renderlo perfino noiosetto.

Stupisce notare che Smile ha una dose di violenza ben superiore alla media del filone a cui appartiene mostrando almeno due momenti gore che sfociano tranquillamente nello splatter. Non mancano, ahinoi, anche alcune scene che inciampano nel ridicolo involontario e questo accade perché, nonostante la seriosità di base, la trovata del ghigno satanico e l’overacting dell’ancora acerba Sosie Bacon portano Smile a superare quel labile confine tra grottesco e comico.

Una lancia a favore di questo film va senza dubbio spezzata per quanto riguarda il suo ultimo atto che si addentra in maniera sempre più insistente verso l’orrore puro. Va riconosciuto al regista e sceneggiatore di avere un potenziale nella creazione di mondi inquietanti e raffigurazioni mostruose, infatti gli ultimi minuti del film si abbandonano finalmente all’horror più spinto, quello fatto di creature mostruose e situazioni borderline così riuscite da ambire perfino a diventare iconiche.

Sicuramente sono troppo pochi gli elementi positivi per fare di Smile un film consigliato ai veri cultori del cinema horror, ma per chi è di poche pretese e magari si approccia al genere con questo film, l’impressione può essere sicuramente positiva.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Il lungo climax finale.
  • Alcune impreviste esplosioni di violenza.
  • Dura davvero troppo per quel che ha da raccontare.
  • E’ un insieme di situazioni e personaggi già visti in almeno 20 anni di horror soprannaturale.
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Valutazione: 5.5/10 (su un totale di 2 voti)
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