Sognare è vivere, la recensione

Il Premio Oscar Natalie Portman esordisce inaspettatamente dietro la macchina da presa dirigendo Sognare è vivere, tratto dal bestseller A Tale of Love and Darkness, firmato nel 2004 dall’israeliano Amos Oz. La Portman, che è anche attrice protagonista, traduce coraggiosamente l’intensità delle pagine del romanzo in immagini suggestive ed evocative, desiderando al tempo stesso ispirare lo spettatore – raccontando un delicato periodo storico per Israele – e connettersi con le proprie radici (Natalie, infatti, è nata e vissuta in Israele fino a tre anni e ha frequentato la scuola ebraica).
Sognare è vivere è una vicenda familiare inquadrata in un momento rivoluzionario quale quello precedente alla nascita dello Stato di Israele. Il padre di Amos, Arieh, è un mite intellettuale di belle speranze; sua madre Fania, annoiata da una soffocante quotidianità, affascina il figlio adolescente raccontando incredibili storie e leggendogli poesie.
La pellicola, dal punto di vista formale, presenta un’efficiente ricostruzione della Gerusalemme tra gli anni Trenta e la fine della Guerra.
La fotografia punta su atmosfere ora morbidamente cupe (per le sequenze dedicate a Gerusalemme), ora pervase da pastosa luminosità (riservata ai segmenti di vita familiare), giocando su un contrasto visivo che allude ai sentimenti confusi e contraddittori che animano i protagonisti. Fania, per prima, interpretata da una disperata e monolitica Natalie Portman, è divisa tra la volontà di essere una buona madre e l’incapacità di contrastare i propri demoni interiori senza cedere alla frustrazione.
Al tempo stesso, però, la vicenda formativa del giovane Amos che acquisisce maturità e consapevolezza è snocciolata tramite una messa in scena stanca e statica che, nelle intenzioni, avrebbe certamente voluto essere struggente e romantica. Tuttavia, spiace dirlo, manca di qualsiasi tensione emotiva. Il rapporto madre figlio, vero fulcro pulsante del film, pertanto attira molto meno l’attenzione del pubblico rispetto alla linea narrativa parallela: quella di un popolo che, dopo aver vissuto sulla propria pelle le tragiche conseguenze del conflitto mondiale, si illude di poter ricominciare.
Altro punto debole sono i dialoghi, in particolare nelle scene che vedono il giovane Amos relazionarsi con i propri coetanei. Il modo di esprimersi dei ragazzi è talmente forbito e arzigogolato, tanto nella forma che nei concetti, da suonare necessariamente non verosimile anche all’orecchio dello spettatore meno pignolo.
L’esperimento di Natalie con il ciak e la cinepresa, a malincuore, è bocciato. Ci regala un’ennesima performance di grande qualità, questo è indubbio. Ma lo è anche il fatto che, per celebrare le proprie origini e raccontare una tappa significativa della Storia del suo Paese, avrebbe forse dovuto cimentarsi col linguaggio documentaristico, piuttosto che con l’adattamento cinematografico di un romanzo.
Sognare è vivere, spossante apologia della disillusione e gravoso ritratto di drammatiche pagine di Storia, sarà nelle nostre sale dall’8 giugno.
Chiara Carnà
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