Solo: A Star Wars Story, la recensione

Quella di Solo: A Star Wars Story, secondo spin-off del nuovo corso di Star Wars, non è stata una storia produttiva molto semplice. Chi segue i dietro le quinte sa che inizialmente a firmare l’opera non doveva esserci Ron Howard, ma Phil Lord e Christopher Miller, coppia rodatissima nella commedia hollywoodiana grazie al dittico di 21 Jump Street, il primo Piovono polpette e The LEGO Movie, ma, per divergenze creative, Lord e Miller sono stati licenziati a riprese abbondantemente iniziate. Le voci di corridoio ci hanno spiegato che i registi di The LEGO Movie si stessero affidando un po’ troppo all’improvvisazione, con un taglio da commedia demenziale che cozzava con le idee di Kathleen Kennedy e la Lucasfilm, motivo per cui è stata immediatamente cercata una sostituzione capace di rimanere nei tempi prestabiliti pur dovendo rigirare parte del già fatto. Ron Howard è stato il “ripiego” ideale, legato amichevolmente alla Lucasfilm dai tempi di American Graffiti e persona assai affidabile e seria, in pratica lo “yes man” perfetto per salvare la “baracca” dall’affondamento.

Questa situazione di tensioni produttive, tempistiche strette e rimpiazzi di certo non ha messo in buona luce un progetto così “delicato”, che ha l’aggravante di riportare in scena un personaggio tanto iconico e amato come Han Solo senza il volto di Harrison Ford; e forse è stata proprio una forma mentis preposta a generare il gran numero di stroncature dalla croisette di Cannes 71, dove Solo: A Star Wars Story è stato presentato in anteprima mondiale fuori concorso. Dunque, un clima festivaliero che poco si confà a un prodotto pop come Star Wars e il preconcetto legato al “deve essere un fallimento”… non si spiegherebbe altrimenti, dal momento che – con gli occhi di chi Star Wars lo ama da anni – Solo: A Star Wars Story è un’opera bellissima.

In Solo si racconta la giovinezza del futuro pilota del Millennium Falcon, un ragazzo scavezzacollo, impegnato nel contrabbando di un preziosissimo minerale e legato da un profondo affetto alla sua coetanea Qi’Ra. Quando i due saranno costretti a seguire strade differenti, Han promette che avrebbe fatto di tutto per tornare dalla ragazza, così prima si arruola nell’esercito delle guardie imperiali, poi, quando capisce che quella vita non fa per lui, si unisce alla squadra del criminale Beckett, che lavora per il misterioso mercante Dryden Vos.

Ambientato una dozzina di anni prima di Una nuova speranza ma molto tempo dopo La vedetta dei Sith, Solo ci mostra un Han Solo inedito, appena ventenne, ma perfettamente in linea con il bellimbusto incosciente e pieno di se che abbiamo imparato ad amare nei film narrativamente ambientati negli anni successivi. Han ha l’indole di chi deve mettersi nei guai, è sempre pronto ad entrare in azione anche se palesemente non è preparato, Han improvvisa e dice sempre quella parola di troppo capace di compromettere un buon piano. Però Han è anche un ragazzo di buon cuore, disposto a intervenire per difendere i più deboli e in questo film è fondamentalmente mosso dall’amore, messo dinnanzi a qualsiasi interesse economico.

Lo sceneggiatore Lawrence Kasdan, aiutato dal figlio Joe, conosce bene il personaggio, avendo lavorato a L’impero colpisce ancora e Il ritorno dello Jedi, e mette tutte le caratteristiche proprie dello Han che conosciamo in questa versione più giovane e avventata del contrabbandiere spaziale. Lo stesso George Lucas, all’epoca del rilancio del franchise Star Wars, aveva indicato un’avventura da solista di Han Solo come papabile di spin-off e proposto lo stesso Kasdan come uomo a cui affidare il progetto. Così è stato e possiamo constatare come il buon Lucas ci avesse visto lungo, dal momento che un film su Han Solo, anzi questo film, riesce a condensare in poco più di due ore tutta l’anima più avventurosa e scanzonata dello Star Wars ottantiano.

Quello attuato dalla Disney e Lucasfilm è un piano perfetto e perfettamente coerente perché, oltre alla storyline principale composta dagli episodi VII, VIII e IX, capaci di creare un unicum che fondamentalmente trae il meglio della prima trilogia, sta creando degli spin-off capaci di esplorare mondi differenti della galassia starwarsiana collegando eventi in un universo espanso coerente, ma con stili completamente opposti. Così se con Rogue One abbiamo assistito a un dramma bellico decisamente serioso, con Solo ci avviciniamo al cinema d’avventura più scanzonato, come quello che veniva prodotto per i ragazzi degli anni ’80.

Stili molto lontani tra loro, ma facenti parte di un unico grande piano mirato ad espandere una storia ormai classica aggiungendo tasselli. E anche in Solo non si contano i riferimenti a quello che accadrà dopo (ed è accaduto prima), con una gestione ottimale di personaggi e situazioni topiche, come la bellissima scena del primo incontro con Chewbacca. Anzi, l’idea di costruire Solo come un film corale piuttosto che un one-man-show è una scelta non solo ben legata al valore dell’intrattenimento e diretta ad ampliare la mitologia del personaggio, ma anche molto saggia dal momento che Han Solo non ha più il volto di Harrison Ford ma del semi-sconosciuto – e comunque valido – Alden Ehrenreich (Blue Jasmine, Ave, Cesare!). Per attenuare il “trauma” dello spettatore, infatti, si è pensato giustamente di circondare Han di personaggi molto ben strutturati capaci di dividere con lui la scena in maniera equa. Quasi tutte new entries, dalla bella Qi’Ra – interpretata dalla “Madre dei Draghi” Emilia Clarke – al mercenario spaziale Tobias Beckett, che ha il volto guascone di Woody Harrelson, fino al villain di turno interpretato da Paul Bettany, praticamente perfetto per il ruolo. Poi, ovviamente, ci sono vecchie conoscenze dell’universo di Star Wars, Chewbacca, che a conti fatti è sempre e comunque un personaggio magnifico, e Lando Carlissian (Donald Glover), giocatore d’azzardo (e baro) sottomesso a una robot femminista che si batte per i diritti dei droidi. Poi ci sono altri personaggi, ognuno dotato del giusto appeal e del dovuto spazio, alcuni sono legati a clamorose sorprese, altri compaiono il giusto per lasciare il segno.

Con scene d’azione incredibilmente ben costruite (l’assalto al treno in primis) e un ritmo costante che ne fa il capitolo più movimentato della saga di Star Wars, Solo sa come intrattenere e non deludere affatto i fan di lunga data della saga più bella della storia del cinema.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Lo spirito avventuroso del cinema per ragazzi degli anni ’80.
  • Un cast corale che funziona bene e dà vita a personaggi ben strutturati.
  • Scene d’azione elaborate e incredibilmente avvincenti.
  • Se proprio vogliamo fare le pulci, Alden Ehrenreich – seppur adatto al ruolo – ha meno carisma di Harrison Ford.
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Valutazione: 8.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Solo: A Star Wars Story, la recensione, 8.0 out of 10 based on 1 rating

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