Soul, la recensione

Ventitreesimo lungometraggio d’animazione della Pixar, Soul è anche il primo a non raggiungere il grande schermo a causa delle restrizioni anti-covid che hanno spinto la Disney a convogliare parte delle sue uscite 2020 direttamente sulla piattaforma streaming Disney+. Un gran peccato, perché il film scritto e diretto da Pete Docter, con il supporto di Kemp Powers, fonda una importante componente della sua personalità sull’immagine e sul suono che sicuramente vengono valorizzati dalla fruizione al cinema, un lavoro in parte sperimentale che va a braccetto con l’esplorazione di tematiche inusuali per il cinema d’animazione per famiglie che Pete Docter sta portando avanti da diversi anni.

Il complesso lavoro di character design e di location design è mirato a dar vita a una New York autunnale e personaggi appartenenti alla mid-class afroamericana ma anche all’Aldilà, al limbo in cui si riuniscono le anime prima di trovare una collocazione ultraterrena, oltre che dar corpo alle anime stesse, immaginate come fantasmini dai contorni morbidi. E poi ancora gli impiegati dell’Altro Mondo, accomodanti consulenti o severi contatori schiavi dell’ordine e della burocrazia, che sono stati animati con linee continue e forma stilizzata, quasi astratta, come nei celebri disegni animati di Osvaldo Cavandoli.

E gli ambienti ultraterreni ricordano gli esterni dei campus universitari americani, però dai colori pastello e fluo, con l’eccezione della mistica scala mobile verso la “Luce”, sospesa in un buio fitto che divora ogni certezza. Di contro c’è una New York periferica realistica, in cui si possono perfino riconoscere le strade, gli scorci, popolata da uomini e donne immersi nella propria quotidianità, dall’animazione tondeggiante che accentua i tratti somatici caratteristici di ogni personaggio.

Al particolarissimo lavoro visivo si affianca un raffinato sound design e una scelta di sonorità utili a dare vita all’astrazione ultraterrena ma anche alla vita del protagonista Joe Gardner, insegnante di musica e aspirante jazzista, ovviamente scandita dai suoni ruvidi e graffianti del sax ma anche dalle melodie più morbide e a volte martellanti del piano, il suo strumento.

Ma Soul non è solo un sopraffino concentrato di perizia tecnico/visiva, è anche una magistrale opera narrativa, una bella storia, complessa e ricca di sfumature e significati, raccontata in maniera lineare e semplice, avvincente ed emotiva, proprio come la Pixar negli anni ci ha abituato.

Seguiamo la vita di Joe Gardner, afroamericano sulla quarantina, insegnate precario di musica alle scuole medie e in odore di assunzione. Scapolo, mammone e con il sogno nel cassetto di diventare un jazzista di professione, sogno che sembra realizzarsi quando un suo ex studente, ora batterista nella band della celebre Dorothea Williams, gli riesce a procurare un provino con la star del jazz. Preso in prova, Joe è atteso per suonare con Dorothea in un locale ma il fato vuole che un incidente lo faccia piombare in coma. L’anima di Joe si trova così a vagare nell’Aldilà: prima sfugge alla Luce che lo avrebbe portato alla definitiva morte, poi si rifugia nel campus di formazione per le anime dei nascituri, dove viene scambiato per un’altra anima e affidato come tutor a 22, un’animella insolente che non vuole andare al mondo. Ma Joe fa un patto con 22: lei seguirà il percorso per guadagnare un pass per la Vita e lui convaliderà una volta per tutte la pedante formazione dell’animella, in cambio il pass però lo prenderà lui, sostituendo 22 nel ritorno in vita. Ovviamente il percorso di Joe verso la “rinascita” sarà ben più complesso, anche perché uno dei conteggiatori di anime si è accorto che qualcuno non ha raggiunto la Luce e ora vaga indisturbato per l’Aldilà.

SOUL

Pete Docter è uno degli autori di punta alla Pixar, sceneggiatore di capolavori come Toy Story e WALL•E, nonché sceneggiatore e regista di altrettanti capolavori come Monsters & Co., Up e Inside Out. Docter e la Pixar stanno seguendo un percorso ben preciso all’interno del cinema d’animazione mirato ad esplorare la crescita dell’essere umano attraverso tutte le fasi della propria vita, con uno sguardo mirato al cambiamento personale (in positivo) sempre presente in ogni momento del percorso individuale. Dunque, dopo aver esplorato la terza età con il bellissimo Up, Docter decide di far un passo ulteriore e raccontare cosa c’è (a suo modo di immaginare) dopo la morte e lo fa alla maniera di Inside Out, cercando di dare una forma e una concretezza narrativa a concetti astratti e intangibili.

Il lavoro svolto con Soul è incredibile e lo script di Docter, Kemp Powers (che è artefice anche di One Night in Miami) e Mike Jones (attesissimo per il prossimo Pixar Luca) è il risultato di uno studio praticamente perfetto sul come raccontare l’irraccontabile. Soul arriva al punto con grande maestria perché unisce tematiche profonde e complesse, esistenziali, con la semplicità del racconto d’avventura e il linguaggio della commedia. La rappresentazione dell’Aldilà, con le regole, la burocrazia, i ruoli è utile a ordinare e dar corpo a un mondo fantastico che difficilmente si potrebbe rappresentare senza affidarsi a un immaginario precostruito, invece in Soul tutto è creato da zero e si dà vita a una mitologia nuova utile a scandire le fasi del racconto di Joe e della sua condizione in bilico tra la vita e la morte. Ma per rendere più appetibile e leggero questo processo, lo script decide di affidarsi al linguaggio della commedia, portando Joe e la sua compagna di avventure a scavalcare i piani dell’esistenza, a scambiarsi i corpi terreni e perfino “invadere” quello di un gatto, assicurando anche la dose di risate immancabile in ogni Pixar. Così facendo, una tematica difficile e un film palesemente orientato più a un pubblico adulto, si fa più leggibile e fruibile anche dai bambini.

Ovviamente, da buon cinema per famiglie, anche Soul ha un messaggio da veicolare, ottimista e consolatorio, che ci dice come sia importante cogliere i piccoli piaceri della vita e di quanto l’essere umano sia padrone del proprio destino. Una perfetta quadratura del cerchio per un film ben strutturato e capace di parlare a un pubblico vasto e variegato.

Punto di merito anche al doppiaggio italiano che chiama due professionisti come Neri Marcorè e Paola Cortellesi a dar voce ai protagonisti, mettendosi perfettamente a servizio dell’opera.

Insomma, Soul è l’ennesima conferma che la Pixar sa fare grande Cinema, una fucina di talenti su cui probabilmente si fonderà buona parte dell’establishment cinematografico hollywoodiano dei prossimi anni.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Uno script perfetto che sa unire la complessità dei temi affrontati con la leggerezza del racconto avventuroso e dell’ironia da commedia.
  • Un lavoro di visual e sound design incredibilmente creativo e originale.
  • Un bel doppiaggio italiano.
  • Se proprio vogliamo essere pignoli, la parte centrale con lo scambio di corpi rimanda a dinamiche già viste, ma non dobbiamo dimenticare che si tratta di un film indirizzato anche a un pubblico di bambini.
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Valutazione: 8.0/10 (su un totale di 1 voto)
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