Speciale Biografilm Festival 2014: Ai Weiwei – The Fake Case

L’artista e attivista politico cinese Ai Weiwei viene rilasciato dalle forze governative del suo paese dopo 6 mesi di reclusione, vissuti a stretto contatto con due guardie nella cella, 24 ore su 24.
Potente figura controversa e strenuo nemico della Dittatura di Xi Jinping, l’Anarchico Weiwei si trova a dover affrontare una pesante accusa di frode fiscale, ennesimo tentativo del governo cinese di lenire permanentemente la sua immagine a livello internazionale.
Ormai stanco e scosso dalla lotta continua, l’artista dovrà raccogliere ogni sua forza per contrastare gli attacchi del Partito, e lo farà solo rivoluzionando ancora se stesso, la sua creatività e il suo celebre, coraggioso, umorismo. 
Riprendendo esattamente dall’ultima immagine del documentario Ai Weiwei: Never Sorry di Allison Klayman, questo nuovo documentario di Andreas Johnsen è, a tutti gli effetti, un sequel.
Ai Weiwei ha compiuto la sua orbita e ha pagato il prezzo salato di chi decide di rivoltarsi e agire da megafono per una generazione intera.
Intrappolato in un infernale prigione per criminali politici e terroristi, l’Artista riappare in una veste alquanto differente dalla nostra precedente visita nella sua reggia di gatti. Dimagrito, invecchiato, sofferente di perdite mnemoniche e terrori notturni, molte meno battute alla mano. Ha bisogno di riposarsi ogni ora e spesso si addormenta nel pieno delle conversazioni.
Ma Ai Weiwei è un’icona vera e propria e, come tale, possiede un carisma e un intelletto difficili da scovare nel panorama mondiale.
La sua principale forma di ribellione sembrerebbe essere l’Arte e i progetti che commissiona al magnifico team della FAKE Ltd., compagnia di artisti di sua proprietà, ma come riportato anche nel precedente film di Klayman, la sua vera arma è la parola, mai fonetica e assolutamente digitale.

ai weiwei immagine 1
Blog, Twitter, le innumerevoli immagini riprese con l’iPhone da cui non si separa mai.
I tentacoli del governo si avviluppano attorno a lui, è posto agli arresti domiciliari per un anno intero ed è costretto a riferire quotidianamente a un’Agente di polizia (con cui eventualmente stringe amicizia) i suoi spostamenti e la sua posizione. Perfino una semplice camminata mattiniera per sbollire l’altissima pressione sanguigna diventa uno scenario complottistico, con agenti intenti a sorvegliarlo dall’alto.
Ma questo mondo alla Hitchcock difficilmente trova una sua realizzazione davanti a un personaggio come Ai Weiwei, che quasi si diverte a cercare nell’ambiente attorno a lui le spie nascoste tra i cespugli e poco ci manca che urli “Tana!” quando scova l’ennesimo scagnozzo intento ad esaminarlo.
E’ una vera contrapposizione di Protagonista e Antagonista, le due nemesi a confronto, James Bond che spara battute taglienti con Blofeld, e quasi ci sembrano vecchi amici. Tuttavia il Governo Cinese pecca spaventosamente di umorismo, e non credo sorprenda più di tanto. Violenti, manipolatori dei media e della legge, scontatamente potenti e, sembra, invulnerabili.
La regia di Johnsen, puramente oggettiva e cronologica, non lascia dubbi. Se da un lato il documentario richiede una forma anche lontanamente narrativa, dall’altro preme per un’effettiva rappresentazione dei fatti, perdenti e vincenti a parte, e Ai Weiwei – The Fake Case è un continuo tentativo di bilanciare entrambi.

ai weiwei immagine 2
Desideriamo la vincita del bene, al di sopra di ogni aspettativa realistica, ma il percorso compiuto dal Grande Controverso Cinese non termina affatto, anzi, sembra virare per un punteggio finale spaventosamente a favore dell’Autoritarismo.
La vera vincita irrompe, forse, a metà della pellicola, in cui scopriamo il sorprendente supporto del popolo di cui l’artista può godere, un supporto tangibile e quanto mai essenziale.
Il Governo vince perché eterno, almeno finché la Profezia Apocalittica di Weiwei non diventa realtà, ma finché si parla dell’uomo che fotografò il proprio dito medio verso la Porta di Tiananmen, è difficile stabilire quando bisogna porre la parola “Fine”.
Forse Ai Weiwei soccomberà alla stretta del potere, ma ci piace pensare a una sua forma di eternità, tant’è che il finale non presenta nemmeno una conclusione agli eventi. Magari si poteva attendere un po’ di tempo in più per un prodotto finale maggiormente compiuto, ma pur di passare un’altra ora e mezza con Ai Weiwei si può chiudere un occhio, sperando segretamente in un nuovo seguito delle avventure di questo unico, folle, illuminato dei nostri tempi.

 Luca Malini

PRO CONTRO
  • Un protagonista formidabile e assolutamente da conoscere.
  • Montaggio ottimo.
  • Perfetto seguito di “Never Sorry”
  • Chi non conosce il precedente documentario o la figura di Ai Weiwei, difficilmente potrà comprenderlo.
  • Senza conclusione e con una chiusura affrettata
  • Leggermente inferiore al precedente per stile e contenuti.
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Speciale Biografilm Festival 2014: Ai Weiwei - The Fake Case, 7.0 out of 10 based on 1 rating

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