Frank, la recensione

Jon, un’aspirante musicista inglese, passa le giornate in cerca d’ispirazione musicale con scarso successo. Una mattina è testimone di un bizzarro tentativo di suicidio, un tastierista che cerca di affogarsi in due dita d’acqua dopo un litigio tremendo con una certa Clara. L’uomo è uno dei membri di una Band Indie chiamata The Soronprfbs, ora con un tastierista in meno. Deciso a cogliere l’occasione, Jon si unisce alla band occupando il posto vacante, ma presto scopre che l’eccentricità del gruppo va oltre il loro nome. Il loro leader, Frank, va in giro con un’enorme testa di cartapesta che non si toglie mai. Non solo! Può darsi che il componente più folle non sia neanche lui, e la Clara di cui urlava il pazzo sulla riva ce l’ha a morte con il nuovo arrivato.
In procinto di creare il loro nuovo album, I Soronprfbs viaggiano fino a una remota località irlandese relegandosi in una piccola capanna in mezzo alla foresta. Forse Jon può finalmente raggiungere il successo che ambisce da sempre, ma mentre i mesi si accumulano e le leggende sulla band si moltiplicano, c’è il rischio che qualcuno perda la faccia o, peggio, la testa.Diretto dal regista irlandese Lenny Abrahamson, Frank si basa sull’articolo del giornalista Jon Ronson, il cui precedente lavoro sull’unità clandestina militare New Earth Battalion ha dato vita al film L’uomo che fissava le capre.
Ronson, su cui è plasmato il protagonista di questa pellicola, è stato membro per diversi anni della band del reale Frank Sidebottom, alter ego del comico inglese Chris Sievey, testa di cartapesta inclusa.
La sceneggiatura, co-scritta da Peter Straughan, è però una rilettura fittizia degli eventi, un tentativo artificiale di donare un’anima e un corpo più all’icona di Sidebottom che al personaggio stesso; una storia scritta per gusto che è già cult del contemporaneo.
Gli impronunciabili “Soronprfbs” sono un gruppo di freak, outsider artistici e sociali, che combattono chi non li comprende appieno con ulteriori dosi di ermetismo, ognuno corredato da qualche speciale deformazione psicologica e una strana abilità di percezione del mondo sonoro.

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Frank, per esempio, si è coperto la faccia perché semplicemente non sopporta il concetto di volto umano, considerandolo una bolla di pelle piena di ossa e muscoli, con un’orrenda ferita orizzontale sopra al mento, ma il suo genio musicale e l’aria di mistero di cui si circonda altro non potevano renderlo se non un leader. Clara è semplicemente tremenda e così aliena da essere irritata anche dallo spostamento d’aria di una foglia. Don è uno dei tanti ex-tastieristi dei Soronprfbs, ora diventato Manager ufficiale del gruppo. Siparietto concluso da due musicisti francesi che non parlano una parola di inglese.
E poi c’è Jon, che è semplicemente Jon.
La sua storia, per quanto biografica, è sottile e leggera, una mera chiave d’introspezione verso il folle universo della Band. Condivide la nostre reazioni e i nostri pensieri con hashtag e twitter, visibili su schermo ogni volta che estrae il suo iPhone. Un piccolo imbroglio narrativo semi-giustificato dall’improvviso raggiungimento del gruppo alla celebrità da Meme tramite i social network del protagonista.
Jon è il Pubblico e si vede.
Domnhall Gleeson dona al personaggio la giusta aria da illuso, ma la sceneggiatura non riesce a racchiudere in lui una valida componente emotiva con cui rapportarsi, e la giostra di schizzati che gli danza attorno semplicemente trascina tutta la nostra attenzione a loro.
O fai il pubblico o fai il personaggio.
Tuttavia, sarebbe errato definire Frank un film fallimentare. È proprio la leggerezza da cui nasce la trama e ogni successiva conseguenza narrativa, che rende l’intera struttura apprezzabile e, in un certo qual modo, più vera del reale.

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Frank, interpretato da un Michael Fassbender in incognito, magari è lontano dal suo alter ego reale ma è un personaggio che trova nella sua originalità da rockstar dell’altro modo, un cataclisma di reazioni e riflessioni sui svariati argomenti di cui è composta la Pop Culture. Lo status della Celebrità, l’Identità, l’Iconografia. Trascinando via quel volto umano che tanto lo disgusta, Frank diventa un semplice fantoccio della sua stessa magia, un po’ come Jon viene considerato semplicemente un paio di mani per tastiere. La sua musica è stravagante, eccentrica, incomprensibile e sconclusionata, ma, come evidenziato dalla stralunata sequenza finale, è anche un linguaggio, un vettore di significati ed emozioni, esattamente come lui stesso. Nessuno lo comprende, tranne quei pochi che parlano la stessa lingua, e anche se il suo cervello difettoso gli impedisce di raggiungere una realtà umana accettabile ai più, certamente conosce una soglia di illuminazione che sfugge al razionale, come evidenziato dalla scena della turista e la successiva passeggiata.
Al di là dei sorrisi a denti stretti, al di là di una tematica sulla conservazione del Folle ed Unico, esiste un cuore di raziocinio ed introspezione sull’Identità (Umana e Vip) e il Linguaggio (Umano e Alieno). Sono questi gli elementi che raggiungono, fortunatamente, l’ambita scarica di emotività che il film sottintende fin dalle prime scene, e anche se non ci è possibile ambire a un posto tra i Soronprfbs per carenza di un’infanzia triste o di un periodo in un ospedale psichiatrico, il ringraziamento a questa piccola gemma Cult è doveroso; anche solo per averci regalato i pass verso un’esperienza finora introvabile.

Frank è stato uno degli eventi dell’edizione 2014 del Biografilm Festival di Bologna.

Luca Malini

PRO CONTRO
  • Originale e intuitivo.
  • Perfetta sincronia di dramma e ironia.
  • Un cast di personaggi unici e imprevedibili.
  • Colonna sonora perfettamente in linea con lo spirito del film.
  • Un terzo atto un po’ debole.
  • Protagonista non altezza delle meraviglie di Frank & Co.
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Valutazione: 8.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Valutazione: +1 (da 1 voto)
Frank, la recensione, 8.0 out of 10 based on 1 rating

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