Spider-Man: No Way Home, la recensione

I Marvel Studios l’hanno fatto di nuovo: hanno dato vita a un primato.

È indubbio che il Marvel Cinematic Universe sia il più grande universo cinematografico condiviso della Storia del Cinema, un universo che si è costruito film dopo film nell’arco di ormai tredici anni, esteso a serie tv, generato spin-off, tentativi d’imitazione. Insomma, ha creato un nuovo modello narrativo (e produttivo). Apice raggiunto con Avengers: Endgame nel 2019, che ancora oggi è il punto d’arrivo di un gigantesco arco narrativo. Fa strano, quindi, a distanza di soli due anni, trovasi dinnanzi a un altro film che punta a quel tipo di spettacolarità, a quell’enfasi narrativa, al raggiungimento di un climax oltre il quale viene difficile immaginare altro. Parliamo di Spider-Man: No Way Home che, se possibile, alza ancora di più il tiro in confronto a molti illustri colleghi dello stesso universo perché compie un gesto inimmaginabile fino ad oggi: donare una coerenza e una logica alle diverse saghe che Sony Pictures ha dedicato all’Uomo Ragno. Niente più reboot, quindi, ma tanti tasselli di un unico grande mosaico che si chiama Multiverso.

Spider-Man: No Way Home è la fine di un arco narrativo iniziato nel 2017 con Spider-Man: Homecoming, che a sua volta era l’esordio assolo dello Spider-Man introdotto in Captain America: Civil War l’anno prima. Una saga, quella diretta da Jon Watts, che ha sempre posto l’enfasi sul lato più umano di Peter Parker che si è mostrato fin da subito come un adolescente piuttosto che un super-eroe. Watts, infatti, ha puntato molto sull’aspetto teen-comedy del personaggio seguendo Peter negli anni del liceo, crescendo con lui attraverso le prime cotte e la presa di coscienza di avere delle grandi responsabilità (che derivano da un grande potere, essì). Quella concessione alla commedia divertita e divertente che forse era sfuggita di mano in Spider-Man: Far From Home, in questo terzo film muta e seppur la leggerezza sia predominante nel primo atto del film, Spider-Man: No Way Home lascia presto il passo al dramma e mette finalmente Peter Parker di fronte alle conseguenze delle sue azioni consentendogli di crescere, di diventare un uomo.

Spider-Man: No Way Home è il film della svolta nell’arco di crescita del personaggio, quella svolta che sembrava sempre lì pronta ad essere presa ma puntualmente rimandata.

Nella scena mid credits di Far From Home avevamo lasciato Spider-Man alle prese con lo sconvolgente disvelamento della sua identità da parte del The Daily Bugle.net e No Way Home si apre proprio con quella stessa scena. Peter è nel panico, anche perché il mondo intero crede che lui abbia ucciso Mysterio per sostituirsi a Tony Stark, e inevitabilmente sta trascinando nel baratro tutte le persone che gli sono care: zia May, M.J., Ned e Happy Hogan. Quando perfino il college rifiuta la sua candidatura e quella di M.J. e Ned, Peter decide di rivolgersi a Dr. Strange per fargli eseguire un incantesimo e cancellare dalla mente di chiunque la consapevolezza che lui è Spider-Man. Ma l’incantesimo ha delle complicazioni e una fenditura nel Multiverso trascina nella realtà di Peter Parker tutti coloro che conoscono il suo collegamento con Spider-Man, anche se provenienti da universi differenti. Così per Peter diventa impellente rimediare all’errore e rispedire nei rispettivi universi di appartenenza i malvagi ed eccentrici personaggi piombati a New York.

La terza avventura da solista dello Spider-Man di Tom Holland è così densa, colma di ritmo, personaggi, eventi (e possibili spoiler) da rendere molto complicato parlarne in una recensione. Il marketing ha giocato molto sull’inserimento nella storyline dei villain storici dei precedenti film su Spider-Man così da rendere canonici anche i film esterni al Marvel Cinematic Universe – che di fatto, da questo momento, ne fanno parte – ma Spider-Man: No Way Home ha davvero molte cose in più, oltre gli iconici villain! È un film sulla presa di coscienza, un coming-of-age originale e affatto banale che fa suo l’immaginario marveliano riscrivendolo con intelligenza e coerenza. Gli sceneggiatori Chris McKenna ed Erik Sommers sono partiti da un evento topico in molte avventure a fumetti dell’Uomo Ragno, ovvero il disvelamento pubblico della sua identità, e lo fondono con diversi eventi narrati nel capolavoro di J. Michael Straczynski e Joe Quesada Solo un altro giorno. Questo fornisce alla storia la propulsione necessaria per introdurre finalmente (stavolta per davvero) in un film dell’MCU il Multiverso che sarà al centro del prossimo film sul Dr. Strange e, allo stesso tempo, di fornire a Peter Parker le basi per scrollarsi di dosso l’appellativo di “bimbo-ragno” e l’ormai pesante eredità di Tony Stark.

Gli sceneggiatori riescono incredibilmente a dare il giusto spazio a tutti i personaggi in scena, anche quelli più marginali, fornendoli di una motivazione vera e giocando sul contesto creato in vent’anni di film sull’Uomo Ragno. In alcuni punti si rischia di giocare in territorio di fan-service ma, come è accaduto qualche settimana fa con Ghostbusters: Legacy, ci sono i presupposti per poterselo permettere e utilizzare come plusvalore quell’immaginario diffuso e ormai sedimentato in più generazioni di spettatori.

Tom Holland era convincete già alla sua prima apparizione ma qui dimostra di essere cresciuto anche come attore, non solo un perfetto Peter Parker ma anche un ottimo interprete in grado di rendere credibile il personaggio nel suo percorso. Tra i comprimari, Zendaya è sicuramente utilizzata meglio che nei film precedenti e più centrale nell’azione, così come Marisa Tomei e la sua zia May, importantissima ai fini narrativi come non lo era mai stata prima in nessun film sull’Uomo Ragno. Tra i cattivi, come è lecito aspettarsi, primeggiano il Goblin di Willem Dafoe e il Dottor Octopus di Alfred Molina, così come lo avevano fatto nei rispettivi film di ormai vent’anni fa. In un ruolo importante c’è anche Benedict Cumberbatch, aka Stephen Strange, che non è assolutamente l’equivalente di Tony Stark in Spider-Man: Homecoming ponendosi, al contrario, quasi come un avversario di Peter.

Bilanciando con grande maestria ironia e dramma, Spider-Man: No Way Home sa come divertire, far ridere, ma anche commuovere con grande onestà, mostrandosi come intrattenimento maturo nonché apice qualitativo della saga su Spider-Man con Tom Holland.

Come ogni fan Marvel ormai sa, vietato alzarsi subito dalla poltrona perché c’è una scena decisamente sorprendente in mezzo ai titoli di coda e una succosa anticipazione alla fine dei credits.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Crea un nuovo precedente narrativo/produttivo per trasformare in canon anche film e saghe che fino ad oggi erano percepite come progetti a parte.
  • La sceneggiatura è impeccabile nel far quadrare ogni elemento e dare giusto spazio a chiunque.
  • Diverte, intrattiene, commuove: tutto quello che si può desiderare da un blockbuster perfetto.
  • Forse un po’ troppa ironia nel primo atto, ma andare a cercare difetti in un film come questo non vuol dire solo essere pignoli ma stronzi.
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Valutazione: 9.0/10 (su un totale di 1 voto)
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