Split, la recensione

C’era un momento, a cavallo tra la fine degli anni ’90 e l’inizio del nuovo millennio, in cui M. Night Shyamalan sembrava la più grande promessa del cinema thriller. Qualcuno lo aveva identificato come erede di Hitchcock e questo perché è riuscito a piazzare, uno dietro l’altro, una serie di opere riuscitissime che si avvalevano di una regia impeccabile e giocavano con le emozioni dello spettatore, inserendo spesso colpi di scena che davvero lasciavano di sasso. Da Il Sesto Senso a The Village, passando per il meraviglioso Unbreakable – Il Predestinato e il riuscitissimo sci-fi Signs. Poi la stella di Shyamalan ha cominciato a brillare sempre meno, ha alternato film riusciti ma lontani anni luce dai fasti iniziale, come Lady in the Water ed E venne il giorno, a dei filmetti impersonali come L’ultimo dominatore dell’aria e After Earth, che hanno anche floppato magistralmente al botteghino.

È arrivato il buon Jason Blum a risollevare la carriera di Shyamalan nel 2015, producendogli (sempre rigorosamente a basso budget) l’horror The Visit, che ha riscosso pareri favorevoli un po’ ovunque e incrementato gli incassi al punto tale da riconfermare l’accoppiata per un secondo film, Split, grazie al quale il regista di origini indiane torna a confrontarsi con il thriller psicologico, ma sposando di nuovo la causa del cinema horror.

Erano diversi decenni che Shyamalan conservava nel cassetto il soggetto di Split, un thriller dalle grandi ambizioni attoriali ma dall’esiguo apporto produttivo. La storia è di quelle intrippanti su cui è bellissimo, e allo stesso tempo rischiosissimo, giocare di scrittura e, a conti fatti, pare che il problema maggiore di questo discreto thriller sia proprio la piattezza narrativa che lo caratterizza.

Split racconta la storia di Casey, una ragazza molto introversa e solitaria che nasconde nel profondo della sua mente un trauma infantile. Ma Split racconta anche la storia di Kevin, Dennis, Patricia, Barry, Hedwig, Orwell e Jade, tante personalità intrappolate dentro lo stesso individuo, che ha le sembianze di un giovanotto discreto e parecchio disturbato. Un giorno, Casey viene rapita fuori dal centro commerciale insieme alle coetanee Claire e Marcia: è Kevin a stordirle e imprigionarle nel suo covo. Kevin ha pessime intenzioni, le altre sue personalità alternano momenti di bontà, compassione, severità e dispetto… ma c’è una personalità nel ragazzo che ancora non si è manifestata, si fa chiamare la “Bestia” e pare sia davvero terribile!

Dalla sinossi si può intuire il potenziale di una storia folle che parla di follia, un potenziale che procede a corrente alterna, si sprigiona in momenti di tensione e genialità, ma si smorza anche in scelte narrative molto convenzionali e una dilatazione della narrazione e dei ritmi che spesso mostra scoperta la guardia.

Shyamalan è un bravo narratore, ma Split forse non è quel tipo di film che poteva essere fatto in economia alla maniera della BlumHouse. Si nota che ha delle ambizioni maggiori, una portata narrativa che qui rimane soffocata a quattro mura ed è costretta a reiterare lo stesso meccanismo troppo a lungo. Quando vediamo l’antagonista alternarsi nelle sue diverse personalità una volta, due volte, tre, quattro e poi ancora e ancora, ci rendiamo conto che il film sta girando a vuoto. Per questo motivo, le quasi due ore sono eccessive per un film costruito in questa maniera e il concitato finale ci sembra tanto liberatorio quanto, in fin dei conti, intruso con il resto a cui abbiamo assistito.

Poi, proprio in chiusura, Shyamalan piazza un colpaccio di genio che lascia tutti col sorrisino ebete sulla faccia. È un giochino schifosamente autoreferenziale che potrebbe anche rimanere fine a sé stesso, ma, messo lì, si fa apprezzare… a patto che conosciate molto bene la filmografia del regista.

James McAvoy, che interpreta Kevin e le sue molteplici personalità, è bravissimo e testimonia come per fare un film del genere servisse un attore adatto; sorprende in positivo anche Anya Taylor-Joy, già vista in The Witch, qui impegnata nel ruolo della ragazza “con traumi”, perfetto contraltare del folle schizofrenico.

Dunque Split è meno anarchico di quello che ci saremmo potuti aspettare, un thriller psicologico abbastanza convenzionale che si regge interamente sull’estrema bravura dell’interprete principale, ma non riesce a lasciare il segno come avrebbe potuto. Piacevole, ma si lascia dimenticare.

Split sarà nei cinema italiani dal 26 gennaio distribuito da Universal Pictures.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • James McAvoy dà qui la conferma della sua poliedrica bravura.
  • Soggetto molto accattivante.
  • Controfinale con piacevole sorpresa.
  • Troppo lungo per il modo in cui racconta la storia.
  • Narrativamente piatto e ripetitivo.
  • Non vuole (o sa) osare mai.
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Valutazione: 6.0/10 (su un totale di 1 voto)
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