Storia di una Ladra di Libri, la recensione

Germania, 1938. Una misteriosa voce fuori campo ci presenta, a bordo di un treno, la piccola Liesel (Sophie Nélisse), che viaggia con la mamma e il fratellino verso la flebile speranza di una vita migliore. Le aspettative, tuttavia, sono destinate a precipitare prima del previsto: il bambino, infatti, si spegne tragicamente durante la traversata. La famiglia ha appena il tempo di seppellirlo che subito Liesel viene data in adozione alla famiglia Hubermann. D’ora in poi, l’affettuoso Hans (Geoffrey Rush) e la burbera e petulante Rosa (Emily Watson) saranno i suoi genitori.
A Liesel la nuova vita va stretta: sente terribilmente la mancanza della sua vera mamma e soffre malinconicamente la solitudine. Il suo unico amico è il biondo ragazzino Rudy Steiner (Nico Liersch). Gli altri compagni di scuola, la prendono subito di mira perché non sa leggere. Quando Liesel, di lì a poco, accederà al magico mondo della lettura, svilupperà un’immediata empatia e un’irresistibile fascinazione, tattile e intellettuale, per i libri: magici supporti capaci di farle esplorare, volando su ali di carta, incredibili universi sempre nuovi. Tuttavia, il peso della storia incombe sulla Germania e, di conseguenza, sul piccolo nucleo familiare, anche a spese della giovane sognatrice dai boccoli dorati…

Storia di una ladra di libri, tratto dal best seller La bambina che salvava i libri di Markus Zusak (2005), è sicuramente uno dei titoli più attesi e promettenti del mese di marzo ma il pubblico, con buone probabilità, andrà incontro a una spiacevole delusione. Il regista Brian Percival adatta una vicenda che, pur ambientata nel pieno della Seconda Guerra Mondiale, racconta un tragico spaccato di storia distaccandosi dall’abusato tema delle persecuzioni ebraiche e prediligendo, piuttosto, il punto di vista di chi dal conflitto viene toccato e sconvolto nel proprio quotidiano, nell’anonima e insipida vita di provincia. Pur apprezzando la relativa originalità della focalizzazione prescelta, è innegabile che la sceneggiatura non convinca particolarmente né risulti avvincente e dinamica come sperato. La pellicola scorre per lo più placidamente, dominata da un ritmo narrativo inesorabilmente sottotono, e non spicca né per guizzi d’ingegno né per personalità registica. Lo sfizioso nucleo narrativo, relativo all’ardente passione di Liesel per la letteratura, che diviene avidamente audace e determinata a correre qualsiasi rischio, è trattato e approfondito in maniera discontinua, per poi venire completamente trascurato nell’ultimo macro segmento della pellicola.

Liesel (Sophie Nélisse) e il padre adottivo Hans (Geoffrey Rush) entrano immediatamente in sintonia.

Liesel (Sophie Nélisse) e il padre adottivo Hans (Geoffrey Rush) entrano immediatamente in sintonia.

Non riescono a risollevare la situazione nemmeno le interpretazioni del cast, a cominciare dal mostro sacro Geoffrey Rush, in un ruolo cucito su misura su di sé ma dimenticabile, fino alla protagonista Sophie Nélisse, la cui performance si espleta prevalentemente in corrucciati bronci o sguardi strappalacrime. Il solo personaggio dotato di qualche carisma è Max Vanderburg (Ben Schnetzer), sensibile ragazzo ebreo che gli Hubermann accettano di nascondere e che intreccerà una solida amicizia con la piccola Liesel, alla quale insegnerà a liberare la propria immaginazione e a guardare e giocare con il mondo attraverso il linguaggio soave e suggestivo della poesia e della prosa. È un peccato che il personaggio occupi la scena per un tempo relativamente breve, in confronto ai 131 minuti di durata complessiva, dal momento che le sequenze meglio riuscite del film, è inopinabile, lo vedono protagonista: dalla battaglia a palle di neve in cantina al dialogo in cui lui e Liesel deridono senza reticenze il Führer, riuscendo per un momento a esorcizzare il terrore e l’amarezza ridendo di cuore.

Alla prima ora e mezza, o poco più, che, come si accennava, scorre faticosamente, segue improvvisamente un epilogo duro e travolgente come un pugno nello stomaco, in grado, perché no?, addirittura di commuovere le lacrime facili, se non fosse gestito alla stregua di un drammone struggente, intriso di tragici cliché e spiazzante coronamento di un prodotto decisamente non riuscito. La pellicola, a conti fatti, si limita a sfiorare temi delicati – come l’amicizia, l’importanza dei punti di riferimento, la stessa passione enunciata dal titolo – che avrebbero meritato di essere affrontati con maggiore cura e acume, e punta piuttosto – o, di fatto, propone – un facile e superficiale intrattenimento senza pretese.

Liesel, la mamma adottiva Rosa (Emily Watson) e il suo amico Rudy (Nico Liersch) si nascondono per sfuggire ai bombardamenti.

Liesel, la mamma adottiva Rosa (Emily Watson) e il suo amico Rudy (Nico Liersch) si nascondono per sfuggire ai bombardamenti.

Storia di una ladra di libri, pur partendo da un materiale narrativo tutt’altro che banale e avendo a disposizione spunti avvincenti e stimolanti, solleva più di qualche perplessità. Il film, distribuito dalla 20th Century Fox, è nelle nostre sale dal 27 marzo.

Chiara Carnà

Pro Contro
  • Affronta uno spaccato storico abusato come il Secondo Conflitto Mondiale da un punto di vista inedito.
  • Ritmo narrativo piatto e faticoso stravolto improvvisamente da un epilogo spiazzante.
  • Interpretazioni non particolarmente memorabili.
  • Superficialità nell’affrontare i nuclei tematici più succosi.
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