Storia d’Inverno, la recensione

Alla vigilia di S. Valentino, giorno per antonomasia dedicato alla celebrazione dell’amore in ogni sua forma, arriva al cinema Storia d’Inverno, romantica fiaba tratta dall’omonimo romanzo di Mark Helprin, che segna il debutto alla regia dello sceneggiatore Premio Oscar Akiva Goldsman.

New York, 1916. Peter Lake (Colin Farrell), abile e brillante ladro dall’unto ciuffo, era il pupillo del malvagio e demoniaco Pearly Soames (Russel Crowe). Ma Lake, in seguito a inconciliabili divergenze di opinione, è stato messo al bando dal gangster, che lo bracca senza pietà insieme ai suoi scagnozzi. Riuscito per il rotto della cuffia a scampare a un inseguimento in groppa a un misterioso e agile cavallo bianco, Peter, prima di lasciare New York, decide di concedersi un ultimo colpo e svaligiare un’elegante dimora, che crede deserta. La casa, però, non è vuota: a suonare il pianoforte con passione c’è la giovane Beverly Penn (Jessica Brown Findlay), creatura angelica e amabile, che fa innamorare perdutamente Peter al primo sguardo. La ragazza, dai bellissimi capelli rossi, ha appena ventuno anni ma è affetta da una brutta malattia, che la condannerà precocemente a un tragico destino. Può l’amore di un uomo essere talmente forte da superare le barriere del tempo e della morte, pur di salvare chi si ha a cuore?

Russel Crowe è il demoniaco gangster Pearly Soames

Russel Crowe è il demoniaco gangster Pearly Soames

Una vicenda fondamentalmente d’amore, che si va a intrecciare vistosamente con svolte fantasy e spunti magici, ha sicuramente tutte le carte in regola, sulle pagine di un romanzo, per funzionare e conquistare i lettori. Tuttavia, nella trasposizione di un simile materiale dalla carta stampata al grande schermo, il rischio di scadere nel cattivo gusto, se non nel pacchiano, è spaventosamente in agguato, a meno che, al timone del progetto, non ci sia un regista di genio e di grande talento. Non è il caso di Akiva Goldsman che, con Storia d’Inverno, ci propina una miscela, a tratti imbarazzante, di sceneggiatura lacunosa, visual effects di dubbia efficacia e voice over qualunquista e ingiustificata. E’ evidente che le difficoltà nell’adattamento di un romanzo di ben 800 pagine in un lungometraggio di sole due ore siano notevoli, ma il risultato è che, guardando il film, anche chi non conosce l’opera letteraria avrà costantemente la confusa sensazione che, all’insieme, manchi qualcosa; che dettagli importanti siano stati tralasciati. Non aiuta nemmeno il fatto che quasi nulla di ciò che avviene sullo schermo venga spiegato con precisione. Anzi, i protagonisti stessi diventano silenziosi complici di questa congiura della reticenza. Senza contare che, alcuni di quei dettagli che, nello svolgimento, risulteranno cruciali, sono incoerenti quando non inesatti.
E’ come se lo sceneggiatore, brandendo un immaginario mortaio, avesse, a partire da una storia d’amore lunga (letteralmente) un secolo, pestato furiosamente, nel calderone del caos, linee narrative e tematiche inerenti a miracoli, trascendenza, eterna lotta tra bene e male, poesia celeste, destini incrociati. Il tutto, è coronato da un inutile e grottesco cameo di un noto attore sul quale, però, non vogliamo anticipare nulla.

Nulla da eccepire sulle interpretazioni del cast. Un impavido e spaesato Colin Farrell e un cattivissimo Russel Crowe regalano le consuete buone performance; anche la bella Jessica Brown Findlay, direttamente dalla serie-tv Downtown Abbey, da vita a un personaggio intenso e struggente. Il Premio Oscar Jennifer Connelly, scomodata per soli pochi minuti di film, riesce comunque a imprimere una decisa caratterizzazione al suo personaggio. Tra gli interpreti, anche William Hurt e Eva Marie Saint.
Risultano molto tenere le sequenze dedicate allo sbocciare del delicato e autentico sentimento tra Peter e Beverly, di un romanticismo garbato e mai zuccheroso. I costumi d’epoca e le scenografie sono una gioia per gli occhi ed è vagamente affascinante anche la sognante teoria sul nostro destino di trasformarci in stelle, una volta che avremo compiuto il nostro personale miracolo.
Non si può, allo stesso modo, negare che difficilmente Storia d’Inverno verrà apprezzato da un target diverso da ragazzine under 16.

Peter (Colin Farrell) dichiara il suo amore alla bella ma fragile Beverly (Jessica Brown Findlay), gravemente malata.

Peter (Colin Farrell) dichiara il suo amore alla bella ma fragile Beverly (Jessica Brown Findlay), gravemente malata.

Storia d’Inverno è, purtroppo, un film potenzialmente incantevole e invitante, in virtù della storia ricca di colpi di scena, delle ambientazioni suggestive, delle tematiche malinconicamente emozionanti. Peccato che, di fatto, una regia labile e una sostanziale inconsistenza, facciano sì che, una volta fuori dalla sala, tutto ciò che resta sia un risolino di scherno, un arruffato senso di sgomento e tanta delusione.

Storia d’Inverno, nelle nostre sale dal 13 febbraio, è distribuito dalla Warner Bros. Pictures.

Chiara Carnà

PRO CONTRO
  • Un cast di tutto rispetto che si cimenta in buone prove, nonostante la povertà della sceneggiatura e dei ruoli.
  • Bei costumi d’epoca e suggestive scenografie.
  • Qualche spunto sognante e affascinante sull’amore e il destino.

 

  • La sceneggiatura sconnessa e lacunosa che trasforma una vicenda potenzialmente avvincente in un confuso polpettone.
  • Gli effetti speciali imbarazzanti.
  • Incapace di coinvolgere e appassionare un pubblico che abbia più di sedici anni.

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Valutazione: 5.0/10 (su un totale di 1 voto)
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Storia d'Inverno, la recensione, 5.0 out of 10 based on 1 rating

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