Stuck, la recensione dell’ultimo film di Stuart Gordon

Stuart Gordon è un regista sottovalutato e, quando gli va bene, dimenticato…a torto, dal momento che ha una carriera invidiabile ricca di film originali e ben riusciti, a cominciare da quel capolavoro dello splatter che è Re-Animator. Gordon ha seguito un percorso particolare che l’ha portato a iniziare come guru del gore estremo insieme all’amico e collega Brian Yuzna e proseguendo tra fantascienza (Robojox; 2013: La Fortezza e Space Truckers) e gotico (Dolls, Il pozzo e il pendolo, Castle Freak) per dedicarsi poi, magnifica parentesi Dagon a parte, a un tipo di cinema più intimistico e minimale che da King of the Ants ha proseguito con Edmond e questo Stuck

L’infermiera Brandi sta tornando a casa dopo una notte passata a far baldoria in discoteca. Annebbiata dall’alcool e dagli stupefacenti, la ragazza investe Thomas, un pover’uomo rimasto senza casa e senza lavoro. L’uomo sfonda il parabrezza dell’auto di Brandi e rimane incastrato lì; lei, presa dal panico, non si ferma e si dirige a casa, parcheggiando l’auto in garage come se nulla fosse. Per Thomas, ferito e immobilizzato, sarà una lotta per la sopravvivenza.

STUCK

Una didascalia all’inizio ci informa che Stuck è tratto da una storia vera e questo sembra paradossale proseguendo con la visione, perché il film racconta una storia così grottesca e assurda che sembra uscita da un fumetto di Tales from the Crypt. Ma si sa, spesso la realtà è più incredibile della finzione e quindi, seppur difficile da credere, ciò che accade in Stuck non è così improbabile come potrebbe apparire.

Gordon, che è anche autore del soggetto, ci racconta inizialmente in parallelo due vite distanti che non sembrano avere davvero nulla in comune. Brandi è un’infermiera gentile e paziente, Thomas un poveraccio senza lavoro che riceve lo sfratto ed è continuamente umiliato dalla vita, costretto a vivere come un senza tetto. Le vite dei due si incontreranno a causa di un fatale incidente che è anche innesco al cambiamento caratteriale dei personaggi. Brandi, presa dal panico ma anche alterata da alcool e droga, muta completamente trasformandosi un’irresponsabile dissociata dalla realtà. Thomas, inizialmente mesto e calmo come di consueto, è costretto a tirar fuori unghie e denti per sopravvivere all’assurda prigionia a cui è condannato.

STUCK

Ad un certo punto Stuck diventa un delizioso teatrino dell’assurdo in cui stona giusto il personaggio interpretato da Russell Hornsby, ragazzo di colore di Brandi, descritto con tutti luoghi comuni possibili del rapper-gangsta americano.

Gordon si diverte anche a gettar dentro splatter e atrocità varie, date dai terribili effetti causati dall’incidente sul corpo di Thomas, trafitto e sfigurato dai detriti dell’automobile e dall’impatto con essa.

Molto incide sulla riuscita del film la buona performance degli attori, Mena Suvari (American Beauty; American Pie) in versione “treccine afro” da vita a un personaggio strambo tanto quanto il film e Stephen Rea (Underworld – Il risveglio) è un perfetto uomo medio senza qualità, metafora della crudeltà del destino.

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Presentato a Cannes nel 2007, Stuck è arrivato in Italia direttamente in home video solo a fine 2011 grazie alla ormai estinta Delta Picturers. Per la serie “meglio tardi che mai“.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Una sapiente costruzione minimalista che sembra echeggiare al teatro dell’assurdo.
  • I due attori protagonisti sono molto bravi.
  • Le figure di contorno non convincono.
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Valutazione: 7.0/10 (su un totale di 1 voto)
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