Sweat, la recensione

Una delle figure professionali oggigiorno più discusse e ambite è quella dell’influencer, che davanti alla fotocamera del proprio smartphone appaiono sempre bellissimi, sorridenti, forti e pieni di energia. Ma nella quotidianità, lontano dal web, come si svolge la vita di questi personaggi? Fondamentalmente, ad accompagnare cifre da capogiro e i milioni di follower ci sono persone schiave degli sponsor, fragili come ogni altro e a volte molto sole.

Sweat, secondo lungometraggio dello svedese naturalizzato polacco Magnus von Horn, riflette proprio sul lato “umano” degli influencer raccontando la vita quotidiana di Sylwia Zajac, immaginaria guru social nel settore del fitness.

Sweat inizia con una performance di fitness in un centro commerciale, tra la folla urlante che acclama Sylwia e i suoi fan che seguono con impegno e dedizione la sua lezione straordinaria in quel “non luogo” per eccellenza. Dopo di ché ritroviamo la influencer in un momento di estrema fragilità in uno spogliatoio mentre confessa, in lacrime, in un video su Instagram di sentirsi sola. Il video scatena un piccolo-grande dibattito social, l’agente di Sylwia la riprende perché questo atteggiamento potrebbe creare delle difficoltà con i loro sponsor, i follower sembrano apprezzare la sua debolezza, i giornalisti invece tentano di metterla in difficoltà. In questo marasma quotidiano si erge l’ombra di uno stalker che si apposta tutto il giorno sotto casa della ragazza.

Inserito nella selezione ufficiale del Festival di Cannes 2020, che pur non essendosi svolto ha comunque apposto il marchio di qualità “Cannes Label” sui selezionati, Sweat ha fatto e sta facendo il giro dei festival internazionali con successo, fino al romano CiakPolska, il festival dedicato al nuovo cinema polacco, dove il film è stato presentato alla stampa prima di esordire in streaming e in home video dal 10 novembre 2021 distribuito da Blue Swan Entertainment.

Il regista e sceneggiatore Magnus von Horn ha il grande merito di approcciarsi alla tematica trattata con naturalezza ed estrema credibilità, raccontando tre giorni nei panni di una star dei social ma senza alcun tipo di retorica, semplicemente inquadrando questa ragazza nella sua quotidianità e sottolineando la sua solitudine. Infatti, è proprio da una richiesta di aiuto della influencer che prende il via Sweat, un semplice video su Instagram che racchiude l’essenza di questa ragazza, perfetta, sensibile e gentile, assolutamente alla pari dei suoi follower, ma anche molto sola e intrappolata nelle indefinibili maglie del suo lavoro.

Lei sa come comunicare il rispetto per se stessi e l’accettazione del proprio corpo, che può essere perfetto grazie al buon allenamento anche se non corrisponde pienamente ai canoni estetici incoraggiati dall’immaginario sociale. Sylwia, fondamentalmente, merita tutto il successo che ha perché sa fare il suo lavoro ma è anche una persona genuina, un vero esempio da seguire per le sue fan. L’ombra sulla sua carriera, estendibile alla sua vita, è però legata alla gabbia che il successo genera che può essere la lontananza (ideologica, soprattutto) dalla famiglia, l’assenza di veri affetti se non un Jack Russell di nome Jackson, e i pericoli a cui il suo status di celebrità possono esporla.

Il film ci mostra come l’integrità morale di Sylwia la pone in una posizione scomoda verso i media tradizionali e gli sponsor che le danno lavoro: loro vorrebbero comunicare l’immagine di una donna sempre forte e sorridente, condizione essenziale per vendere integratori energetici e per sessioni di fitness nei programmi televisivi mattutini; non c’è spazio per un’immagine fragile e bisognosa, per di più pasto ghiotto per il gossip e il giornalismo più meschino. Allo stesso tempo, Sweat ci racconta una Sylwia in difficoltà con la sua famiglia, che non capisce il suo lavoro, lo sottovaluta e sminuisce perfino la sua richiesta d’aiuto davanti a un caso terrificante come quello in cui si è trovata coinvolta con il maniaco sessuale che la stalkera.

Se von Horn si perde un po’ nella parte centrale, che ha un vistoso rallentamento di ritmo, guadagna molti punti nell’intenso finale che mette faccia a faccia Sylwia proprio con il suo stalker, con un climax molto coinvolgente e coerente con l’immagine fino a quel momento costruita dell’influencer.

Bravissima e credibile l’attrice protagonista Magdalena Kolesnik, molto attiva in tv e poco al cinema ma capace di caricarsi sulle spalle l’intero film entrando perfettamente in sintonia con un personaggio affatto semplice.

Sweat è l’esempio concreto di come si possa raccontare il mestiere dell’influencer in un film senza fare apologhi moralistici, commedie parrocchiali (si veda, anzi meglio di no, Genitori vs Influecer) o lunghi spot poco interessanti come il documentario di Elisa Amoruso Chiara Ferragni Unposted. Ad oggi il film di von Horn è il meglio che c’è sul mercato su questo argomento.

Roberto Giacomelli

PRO CONTRO
  • Racconta in maniera realistica ed empatica la quotidianità di una star dei social.
  • Magdalena Kolesnik è davvero molto brava.
  • C’è qualche caduta di ritmo e di interesse, soprattutto nella parte centrale.
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Valutazione: 7.0/10 (su un totale di 1 voto)
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