Sweetheart, la recensione del monster-movie Blumhouse

La paura dell’ignoto, il desiderio proibito di spingersi oltre le proprie conoscenze e la possibilità che le viscere della terra siano abitate da creature mostruose e antiche quanto il mondo, sono da sempre tra i motori principali della narrativa horror, e della fantascienza in generale. Da queste suggestioni, infatti, sono scaturiti una serie infinita di romanzi e di film i cui protagonisti si vedevano costretti a fronteggiare mostri dall’aspetto gigantesco e invincibile, provenienti da ogni angolo recondito della terra e sempre presenti nelle leggende e nelle credenze di origine arcaica. Se in ambito letterario tale tematica ha partorito una florida moltitudine di romanzi e filoni dei quali farle un elenco sarebbe esercizio sterile ed estremamente abusato, il mondo del cinema l’ha sfruttata per realizzare autentici cult raggruppabili in quello che viene definito con il filone del survival-horror.

Un sottogenere affascinante dal punto di vista narrativo, ma soprattutto molto fertile per quanto riguarda le possibilità di sperimentare effetti visivi, trucchi spettacolari per realizzare i mostri e di trasmettere ansia e terrore crescente in chi guarda.

Un altro esempio di questa tipologia di film del terrore è rappresentato da Sweetheart, nuovo film di J.D. Dillard, nel quale una giovane protagonista, naufraga in un’isola deserta per causa misteriose, deve difendersi da un mostro marino che la notte fuoriesce dal suo nascondiglio in fondo al mare e si spinge a riva per cacciare le proprie prede. Ciò che ne viene fuori è un film, prodotto dall’ormai celebre BlumHouse portato in Italia grazie a Rai4 e visibile anche su RaiPlay, dall’alto tasso di tensione, ansia e tutto giocato sul senso di oppressione e apparente impotenza che attanaglia la giovane protagonista al cospetto di una minaccia così pericolosa.

Jenn si risveglia in riva al mare dopo il naufragio che ha coinvolto la barca che trasportava lei e i suoi amici. Ben presto si accorge che uno dei suoi compagni di viaggio, Brad, giace vicino a lei senza vita, motivo per cui la ragazza gli offre la giusta sepoltura. Una situazione già angosciante e disperata si suo, ma resa ancora più drammatica dal fatto che il cadavere del giovane viene sventrato in maniera violenta e disumana da quello che potrebbe sembrare un animale selvaggio del posto. Ma la verità è molto più terrificante e Jenn farà una scoperta che la metterà a grosso rischio.

Chi si aspetta un survival horror / beast movie di quelli che se ne vedono a decine in sala, rimarrà deluso e può tranquillamente rivolgere le proprie attenzioni altrove. Dillard, infatti, mette su un lavoro che cresce con il passare dei minuti, dispiega gli elementi della storia con cura e pazienza in modo da coinvolgere lo spettatore al punto da prenderlo per mano e trascinarlo nell’isola deserta insieme alla protagonista. Chi assiste al film, infatti, può provare lo stesso spaesamento di Jenn, studiare il territorio insieme a lei e, soprattutto, vivere in pieno il successivo terrore nel momento in cui scopre il famelico mostro marino che si aggira di notte per la spiaggia.

Per arrivare a tale risultato, il regista statunitense non arricchisce la storia di orpelli artificiosi e fini a sé stessi, ma piuttosto, come avviene nei migliori racconti di Edgar Allan Poe, non conferisce alcuna profondità psicologica ai suoi protagonisti, utilizzandoli come semplici pedine sullo scacchiere di una storia dai ritmi sempre pimpanti e ben equilibrati. Tale impostazione narrativa contribuisce a far immedesimare il pubblico nei panni della protagonista. Gestione dei personaggi che ha qualche battuta d’arresto con l’inserimento di figure secondarie non del tutto funzionali allo svolgimento dell’intreccio.

Anche sul versante delle scene di tensione e azione Dillard dimostra di voler perseguire una strada minimale e poco tendente alla spettacolarizzazione ad ogni costo. Nonostante alle sue spalle ci sia il produttore Jason Blum, infatti, Sweetheart tende a non mostrare molto né l’aspetto del mostro, comunque ben realizzato, né immagini di violenza, proprio per voler tenere lo spettatore su quel filo del rasoio rappresentato dal “vedo-non vedo” che, soprattutto nella prima metà del film, ha effetti più che benefici.

Sweetheart, in conclusione, è un horror di sopravvivenza (e con un mostro) tutt’altro che banale e catalogabile come piccolo gioiello da riscoprire, ma sconsigliato a chi si aspetta sangue e morti a go-go.

Vincenzo de Divitiis

PRO CONTRO
  • Ritmo elevato per una storia che cresce e appassiona con il passare dei minuti.
  • La scelta di non approfondire i caratteri dei personaggi paga e aiuta a coinvolgere lo spettatore.
  • Scene d’azione minimali riuscite che trasmettono ansia.
  • La gestione dei personaggi secondari non convince del tutto.
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Valutazione: 7.0/10 (su un totale di 1 voto)
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