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High Life, la recensione

High Life

In genere, quando parliamo di cinema di fantascienza possiamo fare una distinzione in due macro settori che ci riconducono direttamente alla rivoluzione fantascientifica avvenuta nel decennio che collega la fine degli anni ‘60 con la fine degli anni ‘70. Da una parte abbiamo il grande cinema d’intrattenimento che ha ricodificato il linguaggio della fantascienza da botteghino e ha fatto scuola in ogni dove, inaugurando saghe che ancora oggi sopravvivono. Parliamo di quell’ideale arco temporale di completamento che inizia nel 1968 con Il Pianeta delle Scimmie e si chiude nel 1977 con Guerre stellari. Dall’altra abbiamo la fantascienza più filosofica, adulta, complessa, autoriale – se mi passate il termine – che irrimediabilmente prende il “la” sempre nel 1968 con 2001: Odissea nello spazio e chiude il cerchio nel 1979 con Stalker passando nel 1972 per il fondamentale Solaris dello stesso Tarkovskij. Un decennio di incredibile sperimentazione e ridefinizione dei linguaggi fantascientifici su cui ancora oggi si fondano la maggior parte dei film di fantascienza che vengono prodotti. Non fa eccezione High Life di Claire Denis che si aggancia al secondo settore che ho descritto, quello della cosiddetta “fantascienza d’autore”.

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