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Fuocoammare, la recensione

Al principio di Settembre del 2013, una piccola grande rivoluzione si consuma nella cornice della settantesima Mostra del Cinema di Venezia: per la prima volta nel corso della storia della rassegna, la giuria della sezione ufficiale in quei giorni presieduta da Bernardo Bertolucci, spiazza i pronostici della vigilia e sceglie di assegnare il riconoscimento più alto ad un’opera complessa e potente che, qui sta la sorpresa, esula dai canoni del cinema di finzione propriamente detto: Sacro Gra , regia di Gianfranco Rosi, affresco filmato sulla periferia della grande metropoli organizzato attorno ad un’esplorazione documentaria di quell’umanità che gravita, più o meno dimenticata (e non soltanto dal cinema), nei paraggi dell’ anello stradale che con il suo abbraccio d’asfalto cinge la città di Roma in maniera davvero poco amichevole.

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Sacro GRA, la recensione

Con i suoi 70km il Grande Raccordo Anulare che circonda Roma è la più estesa autostrada urbana d’Italia. Setacciando questo perimetro che abbraccia la Capitale possiamo trovare persone che fanno, dicono e vivono nei modi più disparati, rappresentando di fatto un vero e proprio microcosmo. Dall’etologo che studia i parassiti delle palme ed è alla ricerca di un metodo naturale per combatterli, al nobile decaduto che abita con la figlia adolescente in un monolocale di un moderno complesso condominiale che si affaccia sul raccordo, passando per il pescatore di anguille, l’attore di fotoromanzi, il principe proprietario di un piccolo castello, la senzatetto che vive in un camper sul bordo della strada e il barelliere che passa intere notti in servizio su un’ambulanza.

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