TFF33: London Road

Nel 2006 London Road, una strada popolare di Ipswich, nel Regno Unito, viene sconvolta da terribili omicidi: cinque prostitute vengono trovate barbaramente uccise. Sul piccolo quartiere, abitato pressoché da famiglie che già si lamentavano della prostituzione, si abbatte dapprima lo sconcerto e il turbamento e poi un vero e proprio uragano mediatico che rende tristemente nota l’altrimenti anonima London Road. Tutti i suoi abitanti, che il film segue da vicino usando un finto stile documentaristico, reagiscono in modo diverso a quanto gli sta succedendo intorno. Proprio sotto Natale, la comunità è scossa e carica di sospetti poiché ognuno di loro potrebbe essere il fantomatico killer.

Poi, un giorno, viene arrestato un loro vicino (di cui non si vedrà mai il volto) e tutto il quartiere seguirà con trepidazione la vicenda giudiziaria e allo stesso tempo comincerà a pensare ad un modo per risollevare le sorti di London Road, per renderla una strada più pulita e cercare di lasciarsi il suo sanguinoso passato alle spalle.

Così, mentre dalle tv accese veniamo aggiornati sui progressi nelle aule giudiziarie, la comunità di London Road, si riunisce insieme per attività che coinvolgono tutti fino ad ipotizzare una competizione floreale che premierà il giardino più curato.

Tutti gli abitanti del quartiere partecipano carichi di entusiasmo e li possiamo vedere mentre speranzosi addobbano i loro giardini ma non solo: collaborano all’unisono per rendere migliore la realtà in cui vivono.

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La pellicola, che ripercorre un momento molto buio della cronaca britannica, si apre con una precisazione ovvero che tutto quello che si vedrà, o meglio sentirà sullo schermo, sarà l’esatta riproposizione di quanto detto in quei giorni da chi ha vissuto il fatto e così, effettivamente è. Sotto forma di musical.

Esatto, tutta la pellicola, fin dai primi minuti è scandita da melodie su cui gli attori cantano la loro versione dei fatti, gli speaker dei telegiornali si sincronizzano gli uni con gli altri attraverso gli schermi nei salotti mentre riportano la terribile notizia, in piazza, durante la corsa ai regali di Natale una comunità si muove coreograficamente mentre canta tutto il suo sgomento e la sua paura per l’accaduto. Perfino un tassista di passaggio, che ha il viso niente meno che di Tom Hardy, dice cantando (e sottolineo il cantando) il suo personale profilo dell’assassino, inquietando non poco la sua passeggera. E si, Tom Hardy canta.

Quello che nei primi minuti coglie lo spettatore con stupore e divertimento come un innovativo modo di mettere in scena una storia di cronaca che rischierebbe di scadere nel già visto, dopo quei minuti iniziali si trasforma in qualcosa di tedioso e ripetitivo. Perché è vero che quelle che vengono proposte agli spettatori sono effettivamente le parole di tutte quelle persone intervistate a proposito degli omicidi, è vero che sono i testi trasmessi dai telegiornali ma probabilmente essi non costituivano un materiale sufficiente per riempire quasi due ore di film ed è qui che si inserisce la ripetitività. Una ripetizione ciclica e costante di tutto quello che viene detto, solo marginalmente giustificata dalle necessità musicali: quando si sente la stessa identica frase cantata per la decima volta da cinque persone diverse il ritmo non conta più ma importano solo quelle lancette dell’orologio che sembrano non muoversi di un millimetro.

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A questo va anche aggiunta la presenza di passaggi narrativi poco chiari e questo, suppongo, per la necessità di inserire nella pellicola testimonianze che funzionano sicuramente in un reportage ma che risultano giustapposte nella storia raccontata: le parole delle prostitute sopravvissute, ad esempio, che hanno deciso di cambiare vita e si raccontano direttamente alla videocamera, sono troppo in contrasto con tutto quello che succede su London Road, e non in modo positivo.

Quella che era iniziata come un’irriverente, ironica a volte e un po’ macabra versione del Canto di Natale perde il suo (unico) punto di forza non appena il musical smette di essere una gradita sorpresa e diventa soltanto un espediente che invece di ravvivare la narrazione la rallenta all’infinito.

Michela Marocco

PRO CONTRO
  • Un esperimento registico interessante.

 

  • Non sa sfruttare la sua forza intrattenitiva.
  • Lento e noioso.
  • Passaggi narrativi poco chiari.
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Valutazione: 5.0/10 (su un totale di 1 voto)
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