TFF33: Gold Coast

Arriva dalla Danimarca Gold Coast, il bel lungometraggio di Daniel Dencik. Un film sottovalutato. Poco apprezzato forse perché è stato visto come un film (l’ennesimo) coloniale poco riuscito nella trattazione dell’argomento. Gold Coast è, invece, qualcos’altro. Film cristologico, in stile quasi documentaristico e intriso di simbolismo. Fortemente influenzato dallo stile di Werner Herzog, ispirato in particolare da Fitzcarraldo, il protagonista di Gold Coast compie una sorta di rito di espiazione come il Rodrigo di Mission di Roland Joffé, destinato a concludersi con un traguardo analogo a quello di Apocalypse now di Francis Ford Coppola. Ma l’approccio registico di Dencik sembra a metà strada tra il Terrence Malick di The New World – Il nuovo mondo e la Jane Campion di Lezioni di piano.

Danimarca, 1836. Il soldato disertore Wulff, dopo essere stato arrestato e pestato per le sue idee anticonformiste, si trasferisce nella nuova colonia in Guinea, dove dovrà istituire una piantagione di caffè. Appena arrivato sul posto, tratta come pari gli indigeni, pur consapevole del fatto che siano lavoratori al servizio della Danimarca. Ma, a poco a poco, Wulff finisce per stringere un contatto molto profondo con la popolazione, complice l’amicizia con un bambino indigeno. Il tempo passato isolato dal mondo, a contatto con la nuova terra, lo porterà ad indagare dentro di sé, scoprendo così il suo spirito anticoloniale. Wulf si rende, infatti, conto che il colonialismo è la conseguenza di una mentalità arcaica. “Parliamo la lingua dei morti. Ma il mondo è stato fatto per noi che siamo vivi”, dice. Di qui, in poi, inizierà un percorso di addestramento per gli indigeni, che Wulff spronerà a non sottostare alle leggi danesi, ma a usare la terra come se fosse propria. L’influenza che Wulf avrà sul popolo sarà tale da spingere gli indigeni a elevarlo quasi come un dio sceso in terra.

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Pur essendo un film in costume, ha uno stile spoglio, privo di inutili fronzoli, come se il regista fosse continuamente partecipe del rapporto tra Wulff e gli indigeni.

Gold Coast è un film filosofico: rappresenta la messa in scena di tutto il pensiero di Jean-Jacques Rousseau, che infatti viene ampiamente citato. Ma, oltre alla filosofia, attinge anche alla pittura: il più delle volte l’attore Jakob Oftebro (che ha una recitazione che ricorda molto quella di Rutger Hauer), col suo corpo ossuto, sporco e semiscoperto, è rappresentato, complice una somiglianza, quasi come un Cristo martire, a cui non manca che la corona di spine in testa.

La rappresentazione del corpo, del suo corpo, su cui il regista non fa che insistere è la chiave di lettura del film: un viaggio di iniziazione che finisce come un compito messiaco.

Claudio Rugiero

PRO CONTRO
  • È un film pieno di simbolismo e di riferimenti di ogni tipo.
  • La mano del regista è molto forte: poco autentica, ma presente.
  • Non fa pesare la poca presenza dei dialoghi
  • Rischia di essere visto un po’ troppo come un film coloniale.
  • Mancano alcune informazioni riguardo al personaggio di Wulff e alle origini del suo viaggio.
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Valutazione: 8.0/10 (su un totale di 1 voto)
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