TFF33: High Rise

Regno Unito in quelli che possiamo supporre essere gli anni ’70. Il Dottor Robert Laing (Tom Hiddleston) si è appena trasferito in quello che appare, a ragione, come un grattacielo avveniristico e tecnologico, dove il futuro, secondo le stesse parole di Laing, è già arrivato.

Robert viene presto inglobato in quella che è la quotidianità del condominio e deve imparare quelle che ne sono le leggi non scritte. Lui, psicologo affascinante e scapolo, occupa uno dei piani più alti ma comunque ben al di sotto di quella che è l’élite dello stabile, formata da professionisti vanesi ed egocentrici, come conduttori televisivi, avvocati, medici affermati, attrici che fanno il bello e il cattivo tempo nel condominio, godendo di privilegi pressoché illimitati.

Al di sotto di Robert, gradualmente, ci sono tutti quelli che vanno a costituire la popolazione minore dell’edificio, principalmente famiglie numerose con bambini piccoli, operai, operatori del condominio stesso, che si devono accontentare dello spazio loro concessogli.

Questo condominio è stato creato dal genio di Royal (Jeremy Irons), l’architetto futurista che ha grandi piani non solo per il palazzo stesso ma anche per tutta l’area circostante, un visionario che ora, però vive rinchiuso tra gli agi del suo attico, guru moderno che sembra imperturbabile da quello che lo circonda.

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Il palazzo, una sorta di grandissimo essere che vive e respira con i suoi abitanti, è dotato di tutto ed è perfettamente autosostenibile, con un supermercato interno (in cui lavorano alcuni degli inquilini), una palestra e una piscina, e sembra in un equilibrio perfetto di cui avvertiamo immediatamente, però, la precarietà: i piani bassi sono scontenti e invidiosi di quelli più alti, si sentono bistrattati e sfruttati, relegati in piccoli appartamenti senza aria e senza luce mentre gli abitanti dei piani alti spadroneggiano senza rispetto su quelli dei piani inferiori.

Robert riesce quasi subito, e noi con lui, a cogliere micro fratture che vanno ad intaccare quello che all’esterno sembra un paradiso in terra. Vi sono ad esempio mariti e mogli fedifraghi che si intrattengono senza vergognaci fronte agli occhi dei consorti, rancori professionali di lunga data che aspettano solo una scintilla per esplodere, segreti e bugie che non aspettano altro che essere rivelati.

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Ben presto questo precario equilibrio comincia ad incrinarsi e a sgretolarsi, quasi letteralmente, sotto i piedi di Robert e degli altri condomini, fino ad arrivare al giorno del fatidico black-out, che determinerà l’avvento di uno stato di anarchia. Il Dottor Laing, in quanto ultimo arrivato, si ritrova proprio nel mezzo a quelle che sono le faide fra i diversi piani, accusato di essere un arrampicatore sociale e allo stesso tempo coinvolto come intermediario per cercare di sanare la situazione prima che precipiti verso il peggio.

Annichilente, alienante, onirico. Metafora anche abbastanza chiara di quella che è la società contemporanea, High Rise non riesce a convincere del tutto nonostante una messa in scena di prim’ordine e un cast stellare. Tratto dall’omonimo romanzo di James G. Ballard, il film risulta narrativamente complesso fino a portare lo spettatore in un dedalo di inquadrature e simbolismo dal quale è difficile ritrovare la retta via. Vi è una magnifica rappresentazione di quella che è la vita all’interno del futuristico condominio, quasi una sorta di magniloquente opera d’arte contemporanea che affascina a prima vista ma delude quando si cercano significati ad un livello più profondo che non la mera superficie.

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In questa magnifica rappresentazione si muovono grandissimi attori come Tom Hiddleston, Jeremy Irons, Sienna Miller, Luke Evans, Elizabeth Moss, James Purefoy, insomma un cast d’eccezione al servizio di una storia che manca d’impatto ed emozione e questo è un vero peccato.

Vedendolo mi sono costantemente chiesta se non mi stessi perdendo qualcosa, qualcosa d’importante che potesse stravolgere totalmente la mia visione della pellicola ma a quanto pare non era così. Ma se davvero ci fermiamo sul piano della metafora, un piano piuttosto ovvio anche per chi non è avvezzo a cercare significati nascosti in ciò che vede, allora il film perde il suo potente immaginario che diventa fine a sé stesso: spogliato di un significato intrinseco rimane un meraviglioso involucro, realizzato alla perfezione, di qualcosa di già visto.

Michela Marocco

PRO CONTRO
  • Tom Hiddleston che balla.
  • Tom Hiddleston (ripetutamente) nudo.
  • Una bellissima (e inquietante) rivisitazione classica di SOS degli ABBA.
  • Una storia troppo complessa.
  • Una magnifica messa in scena non sostenuta dalla narrazione.
  • A tratti lungo e tedioso.
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