TFF33: Shinjuku Swan
Kabuchiko, quartiere a luci rosse. Un gruppo di uomini, chiamati “procacciatori”, adesca delle seducenti ragazze per strada, promettendo loro protezione.
Il biondo ossigenato Tatsuhiko Shiratori è un giovane della metropoli senza un soldo che si imbatte nella gang capitanata da Hideyoshi Minami, il quale dice di averlo conosciuto in un lontano passato. Ma Tatsuhiko non sembra ricordarsene e viene, allora, pestato a sangue. Viene, poi, trovato e addestrato dal procacciatore Matora. Tatsuhiko si accorge così di quanto sia facile adescare ragazze in cerca di fortuna e scopre di essere piuttosto bravo: le ragazze si fidano di lui, conquistate dalle sue maniere gentili. Tra queste spicca Ageha, l’unica che riesce a far breccia nel cuore di Tatsuhiko. La ragazza si fida ciecamente di lui, tanto che inizia a chiamarlo “il mio principe” per via della sua somiglianza con il protagonista del suo libro preferito: Shinjuku Swan, che altri non è che una versione nipponica de Il piccolo principe. La ragazza comincia, dunque, a frequentarlo, nascondendogli, però, il fatto di essere una tossicodipendente. Ma le cose di cui Tatsuhiko è all’oscuro sono troppe e presto dovrà scontrarsi con un nemico che viene dal passato, scoprendo così la dura vita del paesaggio urbano.
Yakuza, prostitute, soldi, vita notturna, pestaggi…questo è il Giappone contemporaneo visto con gli occhi lucidi del visionario Sion Sono. In effetti, Shinjuku Swan è l’opera più realista dell’irrealista Sion Sono. Tatsuhiko Shiratori, come dice la stessa Ageha, è un puro di cuore che viene risucchiato dal corrotto inferno cittadino, a cui, fin dall’inizio, cerca di sottarsi per salvaguardare la sua onesta ingenuità.
Ispirato ad un manga di Ken Wakui, Shinjuku Swan sembra, per certi versi, molto vicino a Tokyo Tribe, opera precedente dello stesso regista. Sono esplora un territorio più classico: quello del film yakuza, un prototipo proprio del cinema nipponico, e lo fa raccontando una storia piuttosto semplice, ma finendo per piegarla al proprio stile. Tuttavia, stavolta lo stile di Sono sembra essere meno forte che negli altri lavori e il film sembra più che altro un terreno di sperimentazione che un’opera compiuta. Risulta comunque godibilissimo e forte della lezione di un altro cineasta della penisola nipponica: Takeshi Kitano.
Claudio Rugiero
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