TFF37. Algunas Bestias

Il titolo più sconvolgente in concorso al 37° Torino Film Festival arriva dal Cile. Rimasto a sorpresa fuori dal palmares deciso dalla giuria presieduta da Cristina Comencini, Algunas Bestias lancia il nuovo promettente sguardo del giovane Jorge Riquelme Serrano.

Con un solo cortometraggio alle spalle, il regista esordisce al lungometraggio avvalendosi di un cast d’eccezione in cui spuntano perfino due nomi importanti: Alfredo Castro, divenuto popolare grazie alla sua collaborazione con l’acclamato Pablo Larraín (per il quale ha interpretato Tony Manero e Post mortem) e Paulina García, la frizzante protagonista di Gloria (poi rifatto con Julianne Moore) del premio Oscar per Una donna fantastica Sebastián Lelio. I due attori, peraltro entrambi noti al grande pubblico per aver preso parte alla serie Narcos, vestono i panni di una matura coppia borghese che conduce un’esistenza tanto solitaria quanto privilegiata in una bellissima casa che sorge in mezzo al verde. Contro di loro si scontra un altro nucleo familiare, quello composto dalla figlia Ana, da suo marito Alejandro e dai loro figli, Consuelo e Máximo, due adolescenti vicini alla tempesta ormonale.

La famiglia sbarca su un’isola selvaggia e disabitata al largo della costa meridionale, un sito che il genero intende trasformare in un resort turistico.

Quando la loro guida improvvisamente scompare, il nucleo rimane prigioniero dell’isola e in balia delle proprie emozioni. La situazione degenera e tutti finiscono per perdere il controllo.

Il regista gratta la superficie di un quadretto familiare a prima vista normale e realizzato, dove i genitori vogliono il meglio per i figli e i nonni esprimono le proprie preoccupazioni circa il futuro dei nipoti. Dietro questi rapporti apparentemente sani, si cela però il tarlo dell’egoismo che porta via via i personaggi ad esplodere e a rivelare la loro vera natura: emerge la distanza generazionale, l’ostilità verso l’estraneo (in questo caso rappresentato nella figura del genero), la rabbia, l’invidia, l’insoddisfazione e la violenza latente.

Lo sguardo del regista è distaccato e valorizza più i silenzi e gli oggetti inanimati, mentre i personaggi lottano disperatamente per emergere in tutto il loro dolore, per rubarsi la scena a vicenda. Non a caso nelle scene d’insieme si avverte sempre un certo disagio, come se nessuno riuscisse veramente ad essere sé stesso. L’abbruttimento della figura umana non può che lasciare uno spazio desolato in cui nessuno sembra destinato alla salvezza. Gli echi dalle opere di Haneke si accavallano per tutta la seconda parte del film, ma il regista cileno finisce per guardare con i pietà i propri personaggi, cosciente che la loro malattia derivi da qualcosa di ben più complesso e profondamente radicato, e il secondo riferimento che viene in mente guardando il quadro finale è lo spagnolo Bigas Luna con il suo Prosciutto, prosciutto.

In un momento politicamente difficile per la propria nazione, Serrano sceglie di isolarsi nella natura selvaggia inquadrando i personaggi in relazione allo spazio circostante, che siano esterni o ambienti chiusi (che in realtà prevalgono). La materia trattata gli offre però la possibilità di allacciarsi a un discorso assolutamente attuale, tra una molestia sessuale a ruoli invertiti e uno stupro effettivo (filmato in una sequenza dalla durata estenuante) dove però la vittima viene praticamente indotta a dare la propria approvazione a quanto sta succedendo. La violenza nel secondo caso è duplice perché in grado di plasmare tanto il corpo quanto la mente (il che rende quanto sta accadendo ancora più sconvolgente), senza contare gli effetti che lascia nella vittima e che rimangono sostanzialmente inconfessati. Uno stupro senza accusa e anzi accettato, dunque. La colpa però non sembra appartenere soltanto a chi effettivamente commette la violenza, ma rende tutti i personaggi – per quanto fisicamente assenti in quel momento – in qualche modo partecipi.

Sia il genero che il nonno sono due figure patriarcali ed esercitano un controllo sugli altri personaggi: il primo strumentalizzando il proprio dolore interiore e la sua stessa amorevolezza, il secondo scegliendo la via più tradizionale, cioè il piglio autoritario con cui cerca di educare il figlio ribelle. Nel mezzo si inserisce anche un matriarcato, rappresentato dalla nonna e per questo osteggiato ad entrambi i lati. Il potere però rimane sempre nelle mani di chi effettivamente detiene le risorse finanziare mentre tutti gli altri rimangono soggiogati al dio denaro.

La forma e il contenuto di Algunas Bestias sembrerebbero mostrare un autore decisamente ispirato. Tuttavia, non tutto nel film persegue l’obiettivo finale e il racconto risulta in alcuni punti dispersivo.

Claudio Rugiero

PRO CONTRO
  • Un’autorialità marcata che emerge in un’opera prima difficile ma con ottimi presagi.
  • La scrittura del regista, coadiuvato da Nicolás Diodovich, dà il suo meglio nei dialoghi.
  • Un cast stranamente affiatato, unito da una regia di una sensibilità unica che affronta dignitosamente anche le sequenze più scottanti.
  • È un film che sceglie una struttura narrativa atipica e fatta di pochi ma importanti momenti, rendendo vano tutto il resto.
  • Il discorso sugli ambienti sembra costituire più uno sfondo: non c’è un vero approfondimento, nonostante le occasioni non manchino.
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