TFF37. Ms. White Light

Si apre con una scena di forte impatto uno dei titoli (sulla carta) più interessanti in concorso al 37° Torino Film Festival: l’inquadratura di un gruppo familiare affranto e poi quella di un’anziana parente stesa sul letto di un ospedale. Accanto a lei c’è una giovane donna in giacca e camicia che gli legge alcuni capitoli del suo romanzo preferito. Apparentemente sembrerebbe che i personaggi siano tutti legati dal sangue e il fatto che si stringano in un momento così drammatico avvalora la nostra prima impressione. Questa viene però smentita con il venir meno dell’inferma, quando la ragazza si sottrae all’abbraccio familiare estraniandosi con una serie di frasi di circostanza che legge su dei bigliettini che ha con sé. La scena prende una piega quasi grottesca e per un attimo veniamo allettati dall’idea che quello che vedremo sarà tutto così come lo vediamo in questa originale apertura.

Scopriamo così la vera protagonista di Ms. White Light: Alexis detta ‘Lex’ (Roberta Colindrez, un volto che subito richiama quello di Frances McDormand), una giovane che esercita una strana professione: aiuta le persone a morire. Non pratica l’eutanasia, ma trascorre il suo tempo con loro ascoltandone bisogni e talvolta mettendoli in pratica al fine di assicurargli una morte serena e meno dolorosa. Il suo obiettivo, come dice lei stessa, è “eliminare la paura”.

Il secondo lungometraggio di Paul Shoulberg si apre quindi con le migliori premesse: tema scottante, punto di vista nuovo, storia originale, ottima gestione narrativa e la scelta di associare la materia trattata ad un genere come la comedy.

Ms. White Light

La trama prende una piega diversa quando Lex si imbatte in Val, un’anziana e vivace signora divorata dal cancro che assume “chiunque sia anche solo lontanamente collegato alla morte”. La nuova cliente non sembra infatti particolarmente intimorita dall’idea della fine e Lex sembra in un primo momento intenzionata a rifiutare il nuovo incarico. L’incontro tra le due donne costringerà però entrambe ad esplorare le rispettive emozioni e i traumi (mai veramente) rimossi.

La paura della fine è, secondo la filosofia di Lex, quello che accomuna tutti gli esseri umani e di fatto lei agisce da vera e propria “fear hunter”.

L’ossessione della morte e la paura a tutti i costi sono le due tematiche centrali di Ms. White Light. La freddezza quasi filosofica (ma solo apparente) di Lex si fa in un primo momento portatrice di un messaggio coraggioso e scabroso, ma l’effetto dura soltanto finché non si scalfisce la dura corazza della nostra protagonista. Certo gli incontri di Lex, la sua esperienza quotidiana, offrono allo spettatore diversi spunti riflessivi. Ogni paziente che prende sotto la sua ala può essere testimone di un determinato atteggiamento nei confronti della morte: dalla rassegnazione si passa al rimpianto o alla coscienza della propria solitudine.

Ms. White Light

La scelta del tono leggero operata dal regista però non porta Mrs. White Light verso la zona della black comedy, ma appare anzi indice di un malcelato timore di risultare fuori luogo. In effetti il film punta al facile sentimentalismo scivolando talvolta perfino nello zuccheroso. Eppure non mancano nel corso della narrazione momenti che la scrittura sembrerebbe indirizzare verso lo shock, ma la regia sembra preferire il formato “film per famiglie” con aggiunte tanto rassicurati quanto decisamente poco creative (come ad esempio la cena improvvisata tra Lex e il sensitivo Spencer).

Come sopra accennato, l’apertura di Ms. White Light è delle più eclatanti, soprattutto perché mette lo spettatore di fronte alla possibilità di una strategia narrativa nuova e giocata sull’imprevedibilità. Si tratta però di un fuoco di paglia, in quanto questo entusiasmo viene presto spento e il film prosegue con un racconto abbastanza lineare che gioca perfino a carte scoperte. Il ruolo dei personaggi secondari all’interno della trama è abbastanza scontato e per alcuni perfino di scarsa utilità. Va detto però che Shoulberg offre loro una caratterizzazione talvolta sorprendente, come nel caso di Nora, una ragazzina sopravvissuta ad una difficile malattia (nonché unica “resuscitata” di Lex) con il sogno di diventare un samurai. Per altri però non si va oltre il semplice contorno/disvelamento (Gary, il padre/amico/collega di Lex) o l’evidente contrapposizione (Spencer).

Ms. White Light

Se il risultato finale però non risente troppo delle non poche lacune del film, questo lo si deve soprattutto a Shoulberg, regista ancora poco definito ma da non sottovalutare: non sembrano del tutto mancargli le doti di un futuro erede di Jason Reitman.

Claudio Rugiero

PRO CONTRO
  • Una storia e un aspetto visivo di sicura presa sullo spettatore (non ha caso il film ha vinto il Premio del Pubblico al 37° Torino Film Festival).
  • Il tema contenuto e la forma scelta evidenziano sicuramente le buone potenzialità del regista.
  • La giovane Carson Meyer, interprete di Nora, è una piccola rivelazione: la sua performance finisce per rendere il suo personaggio più importante di quanto possa sembrare a prima vista.
  • La trattazione del tema è modesta e la regia in sostanza “lancia il sasso e nasconde la mano”: dopo aver messo in scena un argomento abbastanza difficile, lo isola in una zona protetta come se fosse un animale da tenere al gabbio.
  • Una protagonista tanto brava quanto apatica, talvolta perfino esagerata, calata in un ruolo che preferisce adattare a sé stessa invece di lasciarsi trascinare.
  • La chiusura appare narrativamente troppo scontata e registicamente poco significativa.
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