TFF37. Wet Season

Il primo vero colpo di fulmine tra i titoli passati in concorso al 37° Torino Film Festival è arrivato durante i primi giorni di proiezione. Inaspettatamente, ma non troppo: il regista Anthony Chen si era già fatto notare con Ilo Ilo, splendida e toccante opera prima premiata con la Caméra d’or a Cannes nel 2013.

Con Wet Season Chen si conferma uno dei giovani autori più promettenti del panorama orientale portando alla ribalta la cinematografia di un paese come Singapore.

Sebbene il suo nuovo film non aggiunga niente di più in confronto a quanto fatto in precedenza, il materiale visto è sufficiente a segnalarlo come un autore da tenere d’occhio: il suo marchio è riconoscibile e sembra riuscire a mantenere un perfetto equilibrio tra gli elementi in gioco. Il regista potrebbe essere forse accostato a Kore-eda (Un affare di famiglia e Le verità), con il quale ha in comune un cinema fatto di buoni sentimenti e di un’immagine limpida e quasi acquosa. Anzi, in Wet Season proprio l’acqua, nella fattispecie della pioggia, costituisce non più un elemento catartico ma uno sfogo disperato in cui si uniscono i due protagonisti. Una sequenza memorabile che esprime tutto il dolore fino ad allora soffocato e che da sola riesce ad incidere nella mente di chi guarda.

Wet Season

In un contesto come il TFF Wet Season è sembrato da subito uno dei papabili per la vittoria finale (si è dovuto invece accontentare del premio per la sceneggiatura, ma meglio di niente).

Piuttosto che parlare attraverso la differenza d’età tra i due personaggi principali o tra le loro così affini solitudini, Wet Season comunica invece attraverso i loro sentimenti inespressi. Il gesto diviene più importante della parola e da solo basta a dire tutto.

Come già avvenuto nel suo primo lungometraggio, il regista di nuovo si confronta con una storia che vede la relazione tra un bambino e un adulto. Questa volta però siamo di fronte ad un amore proibito tra un’insegnante e il suo studente adolescente.

Wet Season

Ad occupare gran parte della scena è soprattutto il personaggio femminile, visto come vittima di un’educazione patriarcale che la porta ad un desiderio di maternità ossessivo. La sua alienazione è evidente dalla nazionalità malese e dalla distanza che la separa dalla madre, con la quale ogni giorno intrattiene brevi conversazioni telefoniche, suo unico contatto con la propria emotività.

Ling insegna mandarino in una scuola locale frequentata da ragazzi provenienti da famiglie benestanti. La classe si rivela indisciplinata e l’insegnate deve spesso pazientemente richiamare all’ordine i suoi allievi. Il suo ruolo professionale viene però costantemente sminuito (per il preside e per gli studenti “è solo cinese”), come pure il suo impegno nella vita coniugale e suoi tentativi di integrarsi nella famiglia acquisita. Le sue giornate sono scandite dai ritmi lenti e agli occhi degli altri è praticamente invisibile. Da lei è attratto però Weilun, il suo allievo più diligente e ben educato. Complice delle ripetizioni private, quest’ultimo entra a poco a poco nella sua vita scoprendone la monotonia e prendendo di fatto il posto del marito sempre assente. Proprio quando il rapporto diventa più importante e profondo, interviene la morale vigente in Singapore.

Wet Season

Se in Ilo Ilo la scrittura era più precisa nel cogliere i personaggi, in Wet Season viene operata una scelta diversa: si dice il giusto, senza per questo rinunciare ad una buona caratterizzazione, e le informazioni vengono dosate. In questo modo la passione proibita nasce gradualmente e diventa centrale più nella seconda parte del film. Qui il regista lavora più su una simbologia limitata e su un punto di vista spesso distanziato, quasi volesse lasciare i due personaggi alla loro intimità.

Nonostante cerchi di contenersi, di attenersi alla sua stessa sceneggiatura, la forza espressiva di Chen prende il sopravvento e finisce per rendere più vivida la drammaturgia. Con la stessa prepotenza di una pioggia improvvisa.

Claudio Rugiero

PRO

CONTRO

  • Un’apertura semplice ma efficace e in linea con le premesse del film.
  • Due personaggi nel loro piccolo gradevoli.
  • La formula adottata dal regista funziona e lo spettatore rimane letteralmente incantato davanti al film.
  • La parte finale sembra un po’ eccessivamente allungata.
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